Incontriamo Luca Barcellona, calligrafo di Milano. E parlare di un calligrafo alle soglie del 2012 può sembrare anacronistico, ma se pensiamo che i suoi lavori sono richiesti da grandi brand come Nike, Carhartt, Eni, D&G (per non citare committenze museali, o in ambito cinematografico e discografico) si può immaginare come il lettering di Luca Barcellona vada oltre la semplice riproduzione di uno stile appartenente ad un tempo ormai andato. Anche perchè la sua esperienza da writer si sente e si vede, e lui certamente non la nasconde. Nel 2009 ha collaborato con un calligrafo tedesco alla riproduzione di un planisfero del 1500 per il Museo Nazionale di Zurigo; da alcuni anni collabora anche come insegnante con la Associazione Calligrafica Italiana, vivendo di inchiostro, passione e tanta pazienza. Abbiamo provato a conoscere alcuni aspetti del suo lavoro e Luca è stato disponibilissimo alle nostre domande.
Dubito che da bambino sognassi di fare il calligrafo.. ma ripensando al passato, più o meno recente, trovi tracce del percorso che ti ha portato fino qua?
Naturalmente si. Da bambino ero comunque attratto dalle lettere, anche se in un altro modo e con meno consapevolezza di quello che sono. La passione per il lettering me l’hanno inculcata i graffiti, non certo la scuola di grafica dove la calligrafia non mi è stata credo nemmeno menzionata. Invece passare ore a disegnare distorcere le lettere per scrivere il mio nome per la città o su un treno, è stata una scuola interessante, mi ha abituato alla progettualità in un certo senso, e considerata la mia pigrizia non è poco. L’incontro con la calligrafia ha fatto il resto: non si tratta solo di scrivere, ma di imparare storie nuove e conoscere persone speciali ad ogni incontro. Il fatto che sia diventato un mestiere lo considero un lusso, di questi tempi, ma non era decisamente stato deciso a priori.
L’opera calligrafica è sicuramente un lavoro di alta pazienza e precisione. Come ti poni nei confronti dei piccoli errori e/o sbavature che possono in realtà dare un senso ancora più autentico all’opera, distanziandola dalla perfezione digitale?
Questa è una buona domanda. Effettivamente la precisione è sempre stata un mio punto fermo, ma non significa che questa sia necessariamente stata una cosa positiva. Molti dei committenti non si immaginano cosa si può fare con un pennino, e a volte mi è stato contestato il lavoro (ha usato una font! mi vuol prendere in giro?!) Ho capito che l’imperfezione dev’essere visibile perchè anche i profani si accorgano che le lettere sono scritte o disegnate a mano. Nella calligrafia in particolare, il ritocco non dovrebbe esserci, se non per fini commerciali. Se lo scopo è una stampa o una serigrafia, e se l’esigenza lo richiede, penso che la ricerca della “perfezione” non sia un problema, anche aiutandosi con il computer. Ma un lavoro calligrafico invece va ammirato per la sua gestualità, ogni intervento posteriore potrebbe impoverirlo perchè gli fa perdere la sua funzione, ovvero quella di testimoniare la nostra presenza e lo scorrere del tempo attraverso un gesto. Spesso ho l’impressione che lavorare a mano rappresenti una specie di anomalia nella comunicazione visiva; certo, tanti lo fanno, ma nell’immaginario collettivo si è instaurato un forte rapporto con la grafica vettoriale. Le forme, le curve delle lettere, devono essere perfette, bisogna poterci mettere le mani con il computer, colorarle, distorcerle. Raramente hanno utilizzato una mia scritta senza modifiche, si tratti anche solo di una semplice rotazione… ma se il logo è stato progettato diritto, non va stortato! Detto questo, lavorando spesso con la pubblicità, vedo spesso rivolgersi ai calligrafi proprio per recuperare l’imperfezione della scrittura, e di conseguenza la sua umanità.
A cosa pensi quando scrivi, ascolti musica, cosa ti aiuta a trovare la concentrazione?
Se devo scrivere un testo, evito la musica cantata, specialmente in italiano. Sbagliare alla fine di un manoscritto può portarti ad esplorare nuovi orizzonti della blasfemia! Se invece sono in fase di progetto ascolto volentieri la radio, mi piace sentire la gente che discute. Mi concentro veramente solo dal tardo pomeriggio in poi. La mattina è più fatta per il caffè, per informarsi, le telefonate e la posta.
Senti la tua arte fuori dal tempo, e per questo più differenziata nel panorama attuale, o la paragoni agli altri stili di rappresentazione, con pari capacità di espressione?
La calligrafia è una forma di artigianato, è semplicemente meno diffusa di altri settori della comunicazione visiva. È una disciplina al servizio del testo. A volte può essere considerata “arte”, quando il gesto prevale sul significato e la leggibilità. Grazie al lavoro mio e di altri calligrafi, sfruttando il grande potenziale della rete, ora forse non è più una Ha una storia lunga ed affascinante, e questo è già un buon motivo per farne parte.
Quali sono i tipi di lavori/commissioni che riescono a tirare fuori il meglio delle tue capacità, e con che artista/brand ti piacerebbe lavorare in futuro?
Sicuramente mi piace l’aspetto delle performance, scrivere sulle grandi pareti, usando il pennello. È l’unico modo in cui uso veramente tutto il corpo per scrivere, e in più c’è un rapporto col pubblico che spesso assiste ad una cosa che non ha mai visto. Mi piacerebbe scrivere con Chaz Bojorquez di sicuro, spero di farlo presto…
N.B.: Per chi volesse ammirare una sua opera può farlo visitando l’esposizione d’arte al Palazzo Collicola di Spoleto.
Intervista tratta da www.polkadot.it
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