Braccio era nato il 1 luglio 1368 a Montone. Figlio di Oddo Fortebracci e Giacoma Montemelini, quando la famiglia era ancora proprietaria del castello di Montone. Iniziò a 18 anni con cinque cavalieri, la sua avventura militare sotto gli ordini del conte di Montefeltro, proprio in quel periodo i nobili della fazione popolare furono scacciati da Perugia, e i Fortebracci perdono anche il castello di Montone. Braccio giurò che sarebbe tornato a Perugia per vendicarsi, e volle per questo farsi chiamare “da Montone”, si dette alla ventura approdando alla scuola d’Alberico da Barbiano, nello stesso periodo nella compagnia di S. Giorgio, giunse anche Muzio Attendolo Sforza suo futuro rivale.
I primi incarichi li ebbe in Romagna, e con azioni di “guerriglia” si mise in mostra, ricevette un aumento di paga e di condotta, ora comandava “centocinquanta cavalli”.
Lorenzo Attendolo, cugino di Muzio e Rosso d’Aquila, invidiosi dissero ad Alberico che Braccio voleva ucciderlo, per divenire capo della compagnia, Alberico credendo a loro ordinò l’uccisione di Braccio, ma questi avvertito riuscì a fuggire.
Alberico resosi conto che la verità era un altra, cercò in tutti i modi di persuadere Braccio a tornare, ora poteva fare da solo e la sua idea fissa era quella di riprendere il castello di Montone, e sconfiggere i perugini. Mise insieme ottocento cavalli, ebbe una condotta da Imola e quattromila fiorini, nel frattempo Rocca Contrada gli offrì la signoria, se l’avesse liberata dall’assedio a cui era sottoposta da parte di Luigi Migliorati signore di Fermo e nipote del pontefice.
Fu la sua prima vittoria e Rocca Contrada divenne la base della sua compagnia, mise tutto il Piceno in stato d’allarme, sottomise Ancona, Fano, Cingoli e scacciò Carlo Malatesta da Camerino, obbligò il Migliorati allo scontro finale e lo travolse a Monte Conscio, correva l’anno 1408.
La sua fama giunse all’orecchio di Ladislao re di Napoli, che gli offrì una condotta nella guerra che stava iniziando contro Firenze e il papa, Braccio accettò, combattendo intorno a Todi e Perugia, Ladislao lo raggiunse per l’attacco finale a Perugia. La città apri le porte al re, a patto che non vi facesse entrare Braccio, non solo il re accettò ma pensò anche di sbarazzarsi del condottiero.
Braccio fuggì, con milleduecento cavalieri e cento fanti, e si mise al soldo di Firenze.
La situazione era molto confusa, tre papi si contendevano la cattedra di Pietro, e due re il regno di Napoli.
In Toscana si era costituita una lega, guidata da papa Alessandro V e dal Cardinale Baldassare Cossa – (L’Antipapa Giovanni XXIII, nato Baldassarre Cossa (Procida, secondo altri Ischia, ca. 1370 – Firenze, 27 dicembre 1419) fu eletto papa dal Concilio di Pisa nel 1410 a seguito della morte di Alessandro V, con il nome (poi ignorato nella storiografia vaticana) di Giovanni XXIII. In seguito fu riconosciuto come antipapa dal concilio di Costanza del 1415, convocato sotto le pressioni dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, e processato) – legato di Bologna, di lì a poco pontefice con il nome di Giovanni XXIII, mentre il re di Napoli parteggiava per Gregorio XII.
La lega chiamò in Italia Luigi II d’Angiò, e gli offri la corona di Napoli, questi fu incoronato da Alessandro V che provvide inoltre a scomunicare Ladislao.
In questi anni di guerre Braccio ebbe modo di perfezionare la sua tecnica militare, tutta impostata sulla rapidità della manovra e sulla velocità dei movimenti, e questa fu la caratteristica di una nuova scuola d’arme, che fu definita Giovanni XXIII lo chiamò a governare Bologna, Braccio sfruttò la situazione per accumulare molto denaro, taglieggiando le città di Ravenna, Forlì, Rimini, Cesena e Castel S. Pietro.
Saputo della morte di re Ladislao protettore di Perugia, Braccio non perde tempo lascia la città di Bologna in libertà, per la cifra di centoottantamila ducati d’oro, e con marce forzate raggiunge l’Umbria.
Occupa città castelli e borghi, Perugia si affida a Carlo Malatesta che oltre alla condotta pretende anche il potere sulla città, solo a questa condizione accetta di scontrarsi con Braccio.
La città accetta e lo nomina “Difenditore dei Perugini per la Santa Chiesa“, lo scontro avviene a S. Egidio sul Tevere, il 12 luglio 1416 con la vittoria dei bracceschi.
Braccio ha con sé il giovanissimo figlio Oddo, e il suo migliore allievo Niccolò Piccinino, cattura prigioniero lo stesso Carlo e il suo nipote Galeazzo, l’episodio è immortalato in una tela di Paolo Uccello. Il prezzo del riscatto gli frutterà ben ottantamila ducati d’oro.
La città di Perugia non può far altro che aprirgli le porte, e nominarlo signore, per Braccio è il trionfo tanto sperato, le città di Todi, Narni, Terni e Orvieto lo invocano come loro signore, ora Braccio ha un suo piccolo stato.
Nel frattempo a Costanza, era eletto papa Martino V e si prepara a scendere in Italia per giungere a Roma, Braccio gli chiede ufficialmente il vicariato sull’Umbria.
Per tutta risposta, il pontefice gli invia contro Guidantonio di Montefeltro, e dal sud risale Muzio Attendolo Sforza, Braccio non si perde d’animo affronta e sconfigge nell’aprile 1419 a Spoleto il Montefeltro, e blocca lo Sforza.
Firenze lo chiama, per incontrare il papa ed il 14 marzo è ratificato l’accordo con il pontefice, che prevedeva l’investitura delle terre strappate alla chiesa, a patto che riconquistasse Bologna, detto e fatto, poi il condottiero rientrò a Perugia per godersi un po’ di pace.
Sposò in seconde nozze Niccolina Varano, da cui ebbe nel 1421 un figlio chiamato Carlo, dalla prima moglie Elisabetta Ermanni, con la quale era vissuto ventisette anni e morta nel 1419 ebbe tre figlie, il figlio Oddo era un “illegittimo”.
Successivamente il pontefice scomunica la regina di Napoli Giovanna, e dichiara erede alla corona Luigi III d’Angiò, la regina invece designa suo erede il re Alfonso d’Aragona, ed è alla ricerca di milizie, chiama Braccio che accetta sapendo di avere a che fare di nuovo con lo Sforza, che guida l’esercito angioino.
Non si giunge ad uno scontro diretto tra i due, ma Braccio non conosce sconfitta e tutto l’Abruzzo e percorso dalle sue milizie.
Arrivano altri onori, è nominato gran connestabile del regno, e i feudi di Capua e Foggia, è il 3 febbraio 1424.
La regina di Napoli nel frattempo abbandona l’aragonese, e parteggia per Luigi d’Angiò, ora Braccio combatte solo per Alfonso, ma in cuor suo pensa di approfittarne in caso di vittoria.
I due eserciti si scontrano sotto le mura dell’Aquila, che ancora resisteva all’assedio posto dai bracceschi, durante la marcia verso la città abruzzese muore annegando nel fiume Pescara Muzio Attendolo Sforza.
Lo sostituisce Jacopo Caldora, e con lui ci sono il figlio di Muzio, Francesco e Bartolomeo Colleoni, mentre tra i bracceschi figurano Niccolò Piccinino e il Gattamelata, il fior fiore dei capitani di ventura del tempo.
Il 2 giugno avviene lo scontro, Braccio è mortalmente ferito da una pugnalata al collo, fatto prigioniero dopo tre giorni d’agonia spira, è il 5 giugno 1424.
Ludovico Colonna portò a Martino V il cadavere di Braccio, e il papa lo fa seppellire in terra sconsacrata.
Otto anni dopo il nipote, Niccolò della Stella ottenne che fosse sepolto nella chiesa dei Minori di Perugia, per concessione di papa Eugenio IV.
Il suo nome incuteva ancora terrore, come il Manzoni fa dire a Niccolò Piccinino nella tragedia “Il Conte di Carmagnola“: per tutto ancora con maraviglia e con terror si noma.
In una sala nel palazzo comunale di Perugia, si trovano quattro affreschi autore il Papacello, che immortalano i momenti più significativi della vita del Fortebracci, nel primo affresco Braccio riceve da Giovanni XXIII il bastone di comando dell’esercito pontificio, nel secondo riceve dagli ottimali di Perugia la signoria della città, nel terzo i dignitari d’Alfonso d’Aragona gli recano il titolo di principe di Capua, nel quarto e raffigurata la sua morte avvenuta nella battaglia dell’Aquila.
Quattro momenti fondamentali di un personaggio dall’esistenza a tratti mitica.
Fonte: www.cronologia.it
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