La storia
Piero della Francesca, uno dei protagonisti dell’arte italiana del Quattrocento non ebbe verso i posteri quell’attenzione che facilita il lavoro degli storici. Su di lui si hanno pochissime informazioni documentate. Si sa però con certezza la data della morte, registrata a Sansepolcro, suo borgo natale, il 12 ottobre 1492, giorno della scoperta dell’America, quasi cinquecento anni fa. Per il cinquecentenario della morte sono in corso manifestazioni che culmineranno nel 1992. L’occasione è servita a trovare le energie e il denaro per avviare restauri non più rinviabili e organizzare una serie di mostre e convegni per approfondire la conoscenza di uno dei massimi artisti dei nostro Quattrocento. È ormai quasi luogo comune snobbare le iniziative organizzate per la ricorrenza di nascite e morti di persone illustri, considerate rituali vuoti di contenuto; ma in questo caso, per Piero, le cose sembrano stare diversamente.
Le manifestazioni sono state inaugurate, infatti, da un’esemplare indagine diagnostica sugli affreschi con la leggenda della Vera Croce, nel coro della chiesa di San Francesco ad Arezzo (considerati il capolavoro di Piero) e sulla Madonna del Prato di Monterchi, il famoso affresco che raffigura la Vergine incinta, la mano sul ventre e ai lati due angeli che scostano la cortina di una tenda. I risultati dell’indagine, esposti nell”89 in una mostra e in un convegno, sono stati la base dei restauro degli affreschi aretini, ora in corso. Due mostre, che si sono concluse di recente, hanno illustrato alcuni aspetti della sua influenza sull’arte dei Ventesimo secolo: una dedicata ad opere di Milton Glaser in omaggio a Piero, l’altra ai rapporti tra il pittore e l’arte italiana tra 1920 e 1938. Varie altre iniziative sono in preparazione da parte del “comitato nazionale per il quinto centenario della morte di Piero della Francesca”, presieduto dal ministero dei Beni culturali e di cui fanno parte enti locali, istituti universitari, soprintendenze e organizzazioni culturali, come la recente Fondazione Piero della Francesca, diretta da Valentino Baldacci. Un calendario completo e ufficiale delle iniziative non c’è ancora; l’elenco che segue può dare una prima idea delle manifestazioni.
Ad Arezzo, Monterchi, Sansepolcro, Urbino e Firenze, cinque luoghi pierfrancescani, sono previste mostre che illustreranno i rapporti di Piero con l’arte locale: ad Arezzo si terrà una mostra dedicata agli “abiti e gioielli di Piero”. A Firenze verrà organizzata un’esposizione dedicata alla “formazione fiorentina di Piero”: uno dei pochi documenti rimasti ricorda infatti la presenza di Piero a Firenze nel 1439, come aiuto di Domenico Veneziano per gli affreschi (perduti) del coro di Sant’Egidio. La mostra di Sansepolcro, prevista per il giugno 1992, avrà per tema “prima e dopo Piero la pittura umbro-marchigiana”.
Alla corte urbinate di Federico da Montefeltro, dove soggiornò a più riprese, Piero con la sua nuova concezione dello spazio, influì notevolmente sulla creazione del Palazzo Ducale. Forse l’artista partecipò direttamente alla progettazione. E proprio a Urbino si farà il punto sui rapporti tra Piero e l’architettura del suo tempo, nell’ambito di un convegno su “Piero e le corti”, annunciato dal soprintendente Paolo Dal Poggetto per l’estate prossima.
Per quanto riguarda i restauri, oltre a quelli già detti ad Arezzo, a Sansepolcro sono in corso lavori nella chiesa di Santa Chiara, l’antica Sant’Agostino, per cui Piero eseguì un polittico oggi smembrato, e da cui proviene il frammento di affresco con un santo (forse San Giuliano), ora al Museo Civico di Sansepolcro. Da tre anni, inoltre, a quanto dice l’assessore alla cultura Giovanni Tricca, si sta cercando un affresco documentato da una nota di pagamento della Confraternita della Misericordia (la stessa per cui Piero eseguì la famosa Pala della Misericordia, ora nel Museo Civico di Sansepolcro), che si pensa sia celato dietro uno dei muri della chiesa e ospedale della Confraternita.
Le celebrazioni continueranno anche dopo il 1992: il primo gennaio dell’anno prossimo inizierà un progetto triennale di catalogazione di beni artistici, storici, architettonici e ambientali legati a Piero presso la Fondazione Piero della Francesca. Altri eventi in programma sono: un convegno internazionale sull’opera artistica e scientifica di Piero, una mostra, a cura di Enrico Giusti, sulla “Matematica del ‘400: da Piero della Francesca a Luca Pacioli” (che probabilmente si terrà nel 1993 o nel 1994), la pubblicazione di una rivista, l’edizione critica dei tre trattati teorici del pittore.
Sansepolcro
E SULLO SFONDO I CIPRESSI DEL BORGO
Un gruppetto di case basse, alcune torri merlate che spuntano alte dalle mura, uno stradone bianco e dritto
Polittico della Misericordia come un fuso che
conduce da Anghiari, il Tevere ancora limpido che la sfiora: questo doveva essere nel Quattrocento, Borgo San Sepolcro, (oggi Sansepolcro), vicino ad Arezzo, dove probabilmente nel 1420 nacque Piero della Francesca. A questo borgo fuori dai grandi giri di influenze e di committenze, disteso tra un vasto e raccolto anfiteatro montano e collinare Piero si ispirò per il paesaggio de Il Battesimo di Cristo ora conservato alla National Gallery di Londra, rimanendogli sempre affezionatissimo. La cittadina, dove ancora si trova la casa natale ristrutturata, che è diventata sede del Comitato nazionale istituito per le celebrazioni dell’artista, può considerarsi il punto di partenza di un itinerario per chi vuole ripercorrere i luoghi dove il pittore è vissuto e quelli dove è possibile vedere i capolavori del maestro rimasti in Italia. Il Polittico della Misericordia, è la prima committenza che Piero riceve nel 1445 dalla Confraternita, che gli impose perfino i colori e la quantità d’oro da usare per il fondo. Piero non gradì il condizionamento, ma non poté opporsi. Terminò l’opera, che realizzò con alcuni assistenti, intorno al 1448. In alcune figure come la Vergine e il San Giovanni della Crocifissione sulla cuspide, o nel mantello della Madonna al centro della tavola, è già presente, rigorosa e nuovissima, la legge della prospettiva. Il Polittico è conservato nella Pinacoteca comunale assieme agli affreschi della Resurrezione, di San Ludovico e di San Giuliano.
Monterchi
IL MIRACOLO DELLA VERGINE SENZA VANTO
Piccolissimo e suggestivo, il borgo dista solo pochi chilometri da Sansepolcro.
Qui, nella piccola cappella del cimitero, l’artista dipinse, tra il 1455 e il 1460 (facendo un probabile omaggio a sua madre, nata in questo paese) La Madonna del Parto, ancora oggi venerata dalle madri e dalle donne in attesa. Posta al centro di un padiglione regale, (come indica il rivestimento interno di ermellino), che svolge la funzione di tempio, la Vergine è colta nell’atto di indicare “senza vanto”, con la mano destra, il frutto del concepimento. L’opera esalta nello stesso tempo l’umanità e la regalità della Madonna, vista come madre di Dio, strumento di salvezza degli uomini. L’armonia dell’immagine, nella sua singolare semplicità, è quella che si ritrova nella campagna circostante, fra le colline coperte di cipressi e di castagni, che popolano un paesaggio pieno di quiete e privo di qualsiasi drammaticità. Questo scenario, fu per l’artista l’approdo preferito dopo ogni viaggio e soggiorno che lo aveva portato in giro per l’Italia. Qui si ispirò per le sue figure solenni e nello stesso tempo contadine, qui osservò e ridipinse la luce tersa e mai troppo accecante, qui vide il paesaggio del Tevere che spesso inserì nei suoi dipinti. Questi luoghi, non compresi nel classico itinerario del Grand Tour del Sette-ottocento, divennero invece meta ricercata e suggestivo pellegrinaggio dopo l’Unità d’Italia. Tra i molti viaggiatori che li visitarono, I’anglofiorentino Thomas Adolphus Trollope, l’americana Lucy Lilian Notestein, che paragonò i colori delle colline toscane con quelli della sua Pennsylvania, e H.V. Morton. Tra i più famosi quadri di paesaggi di Piero, e emblema perfetto dell’ideale umanistico dell’epoca è II Battesimo di Cristo, opera attribuita al periodo giovanile, e conservata attualmente alla National Gallery di Londra. Altre opere di Piero sono il Polittico di Sant’Agostino, smembrato in varie collezioni, e il Polittico di Sant’Antonio, nella Galleria Nazionale di Perugia.
Rimini
AL SERVIZIO DI SIGISMONDO IL TIRANNO
Intorno al 1450 Piero inizia i viaggi che lo porteranno a lavorare presso tre delle più importanti corti italiane:
Rimini, Ferrara, (dove purtroppo non è rimasta alcuna traccia delle sue opere), e Urbino.
Sigismondo Pandolfo signore di Rimini era un duro, crudele condottiero, che aveva mire sull’Italia settentrionale. La sua ferocia era leggendaria, tanto che si racconta di come una volta andasse a Roma col proposito di uccidere il Papa, sordo alla richiesta di aiuto per recuperare gli Stati perduti. Sigismondo aveva portato all’altare tre donne: Ginevra d’Este, poi Polissena Sforza, e, infine, Isotta. Per consacrare in qualche modo la nobiltà del suo casato aveva voluto rinnovare completamente la chiesa trecentesca di San Francesco, chiedendo a Papa Nicolò V di potersi avvalere dell’opera di Leon Battista Alberti. Il grande architetto e teorico dell’umanesimo, realizzò così, ispirandosi all’architettura romana degli acquedotti, il Tempio Malatestiano, uno dei più straordinari esempi di architettura quattrocentesca, rimasto incompiuto alla morte di Sigismondo Pandolfo, nel 1468. In una delle cappelle, quella detta delle Reliquie, Piero realizza l’affresco, che ritrae Sigismondo Pandolfo Malatesta in ginocchio davanti al suo patrono San Sigismondo re di Boemia. L’opera che è una glorificazione del tiranno, è in stretta relazione con l’architettura interna del tempio disegnata dall’Alberti. Il palazzo dei Malatesta è rappresentato, racchiuso in un ovale.
Urbino
DUE CAPOLAVORI NEL NOME DEL DUCA
Nella Galleria Nazionale di Urbino, una volta Palazzo del raffinato duca Federico da Montefeltro, che ospitò Piero intorno al 1451, sono conservati due dei capolavori dell’artista: La Madonna di Senigallia e La Flagellazione. L’interpretazione di quest’ultima è una delle più controverse della storia della critica d’arte. L’enigma inizia già col nome in quanto quella che dovrebbe essere la scena principale è relegata in secondo piano. In primo piano campeggiano invece tre misteriosi personaggi.
Per lungo tempo si è pensato che il giovane biondo fosse Oddantonio da Montefeltro, fratellastro di Federico. Attualmente restano attendibili due sole identificazioni: l’uomo sulla destra con il vestito di broccato, è Giovanni Bacci, nipote di un mercante di spezie, l’uomo seduto, in secondo piano, è invece Giovanni VIII Paleologo. I ritratti di Federico da Montefeltro, con, sul retro, rappresentata la sua gloria e quello di sua moglie Battista Sforza, sono conservati invece nella Galleria degli Uffizi a Firenze
Arezzo
L’INCREDIBILE AVVENTURA DELL’ALBERO CHE DIVENTA CROCE
Ad Arezzo Piero realizza nella cappella maggiore della chiesa di San Francesco il lavoro più impegnativo della sua carriera: il grande ciclo delle Storie della Croce. La data di inizio è certa ed è il 1452, mentre quella in cui terminò è probabilmente il 1466. Il tema, molto diffuso nella narrativa figurativa del tardo Trecento, e legato soprattutto alle chiese d’ordine francescano, racconta come il sacro legno, cresciuto sulla tomba di Adamo e venerato poi dalla regina di Saba, era stato usato per crocefiggere Cristo.
Piero ricostruisce quindi il seguito della storia: il ritrovamento da parte di Elena, madre di Costantino, il furto da parte del re persiano Cosroe, e, infine, il ritorno della reliquia a Gerusalemme grazie a Eraclio, imperatore d’Oriente, vincitore di Cosroe in battaglia. Rispetto alla leggenda, l’artista aggiunge la scena dell’incontro di Salomone con la regina di Saba, (scena di destra,è L’adorazione del sacro legno), che simboleggia la speranza di vedere riunite le chiese d’Occidente e d’Oriente. Straordinario di questi affreschi l’intarsio di colore e luce che crea le figure e lo spazio.
Anghiari
CRONACA DI UNA BATTAGLIA ANNUNCIATA
Per approfondire la lettura di uno dei quadri più noti di Piero, La battaglia di Ponte Milvio, descritta nel ciclo di Arezzo, può essere di grande interesse un’altra opera poco conosciuta custodita nella Galleria Nazionale d’Irlanda, a Dublino. Si tratta del fronte di un cassone di nozze, che racconta La battaglia di Anghiari nel suo completo svolgimento.
Attribuito a Biagio di Antonio, il pannello, studiato da Franco Polcri in un saggio ancora inedito che verrà prossimamente pubblicato su “Paragone”, descrive esattamente sia lo scenario complicato della battaglia con Sansepolcro, Città di Castello, la piana di Citerna, e Anghiari, che gli schieramenti, gli stendardi, le scene di morte, le postazioni, la cavalleria e la fanteria, il paesaggio tiberino, senza perdere l’insieme della scena con tutti i drammi che vi si svolgono. La tavola, a differenza della battaglia di Leonardo arrivata a noi tramite la copia di Rubens, e che raccontava solo una lotta furibonda di cavalieri per la conquista di una bandiera, è una “cronaca” davvero dettagliatissima di un avvenimento che fece epoca, segnando il definitivo trionfo di Firenze sui Visconti e le loro mire espansionistiche. L’eco e la suggestione arrivarono sicuramente anche a Piero, che se ne ricordò nei suoi affreschi aretini.
Tratto da “Il Venerdì” di Repubblica
8 novembre 1991 n. 194/195