Detta “la Pimpaccia“, colei per la quale venne creato il famoso detto: “chi dice donna dice danno“.
Nata a Viterbo nel 1594 e destinata da subito ai rigori conventuali, riuscì con un’abile stratagemma a sottrarsi al suo destino accusando il suo confessore di molestie sessuali. A dire il vero quell’accusa si rivelò poi infondata tanto che il frate venne riabilitato ai voti, ma l’episodio bastò perché Donna Olimpia svestisse la tonaca e sposato un ricco e facoltoso, nonché vecchio, personaggio locale, cominciasse la sua ascesa sociale. Già da questi primi episodi si rivelano gli aspetti preminenti del carattere di Olimpia: la sua spregiudicatezza e la sua determinazione; il non rassegnarsi a decisioni prese da altri, a situazioni che appaiono ineluttabili; doti che l’accompagneranno nel corso di tutta la sua vita. Negli anni a seguire grande fu l’amicizia che la legò a papa Innocenzo X, il quale sarà l’artefice di tutte le sue fortune. Tra i due si svilupperà un profondo dialogo fatto di introspezione psicologica e suggestione letteraria. La dama di ferro adesso appare tenera e premurosa nei confronti del papa: emerge tra i due un rapporto di intensa e affettuosa familiarità, tanto che a un certo punto Olimpia si rivolge a lui chiamandolo col suo vero nome, Giovan Battista.
Il popolo, da sempre sensibile alle vicende di chi alimenta le sue chiacchiere e un pò divertito dalle stravaganze e dalle astuzie della Maidalchini, dal canto suo non stava a guardare e poiché una donna bella e seducente come lei fa parlare di sé, quando cade nelle simpatie di un uomo grande e potente, come era Innocenzo X, anche allora si mormorava che fra i due non ci fosse solo quel rapporto spirituale e platonico ostentato in pubblico ma una vera e propria relazione intima.
Donna astuta, intrigante, ambiziosissima, e non certo morigerata, Olimpia animò con le sue gesta, non proprio edificanti, le cronache scandalistiche romane seicentesche. Tra le tante concessioni fatte dal cognato-papa Innocenzo X, caduto anche lui vittima delle mire dell’abilissima signora, ci fu la suntuosa Villa Pamphili.
L’Anno Santo del 1650, che insieme a un enorme afflusso di pellegrini conobbe pure un grande concorso di prostitute, grazie anche ai buoni uffici di donna Olimpia Maidalchini. Quest’autentica papessa della curia pontificia già da qualche anno aveva elargito la sua interessata protezione alle “cortigiane” romane, permettendo loro di muoversi in carrozza nelle solennità maggiori, in barba al divieto papale. Ora, in occasione del giubileo, donna Olimpia non solo si gettò avidamente a lucrare sull’assistenza ai pellegrini sotto il pretesto di organizzare comitati di caritatevoli dame, ma continuò imperterrita a esercitare il suo rapace patronato sulle meretrici, introitando regalie a palate. A nulla erano valsi gli ammonimenti di Pasquino a Innocenzo X sull’insaziabile cognata: « Chi dice donna, dice danno – chi dice femmina, dice malanno – chi dice Olimpia Maidalchini, dice donna, danno e rovina ».
Le mediocri condizioni di salute portarono Innocenzo X alla tomba il 7 gennaio 1655. Donna Olimpia asportò dalla stanza di lui tutto ciò che trovò e nulla volle dare per la sepoltura. E così per l’avarizia dei parenti, il cadavere del pontefice dovette rimanere un giorno intero in una stanzaccia, esposto al pericolo d’essere rosicchiato dai topi, e solo grazie alla generosità del maggiordomo Scotti, che fece costruire una povera cassa, e del canonico Segni, che spese cinque scudi per la sepoltura, Innocenzo potè godere della pace del sepolcro nella chiesa, da lui commissionata, di sant’Agnese in piazza Navona, dalla quale, si dice, benedice chi non lo vede: difatti, la tomba è posizionata sopra l’ingresso, dalla parte interna, per cui ben pochi sono coloro che si voltano per ammirare il busto del pontefice.
Alcuni toponimi di strade romane ancora oggi la ricordano: Via e Piazza di Donna Olimpia. La toponomastica riporta anche altri segni del passaggio di questo bizzarro personaggio: sempre a questa dama infatti era legato il nome di Via Tiradiavoli, sparita nel 1914, presso via Aurelia Antica . E’ qui che i demoni, sistematicamente, bloccata la berlina fiammeggiante della Maidalchini, secondo il credo popolare, precipitano all’inferno l’indemoniata signora.
Secondo la tradizione popolare la Pimpaccia, continua a darsi al bel tempo anche post mortem, animando Roma con le sue scorribande notturne. Molte voci la vedono su una carrozza di fuoco che scorrazza in lungo e in largo terrorizzando i passanti, attraversa Ponte Sisto per recarsi a fare i bagni in un palazzo a Trastevere, grida e urla al solo passaggio per fare dispetti a chi gli capita sotto mano.