-
Klaus Bergdolt, l’autore di questo interessantissimo saggio, traccia un dettagliato profilo della peste nera, che a metà del quattordicesimo secolo colpì duramente l’Asia e l’Europa. I primi due capitoli fungono da introduzione. Il primo parla diffusamente della peste nell’ antichità, mentre il secondo si sofferma sulla epidemia che colpisce l’impero bizantino a partire dal 541 d.C. La malattia rimase endemica fino al 750 d.C. per poi scomparire fino al 1347 d.C. Scrive il Bergdolt: «L’epidemia della peste fece morire un terzo della popolazione europea. Per cinque terribili anni, la morte proiettò ovunque la sua sinistra ombra. Si diffuse il panico, si insinuarono agghiaccianti sospetti che non risparmiavano neppure i vincoli familiari, si misero in atto impensabili mezzi di prevenzione. E all ’improvviso si scatenarono selvagge cacce ai presunti colpevoli. Alla fine di questa tragedia, l’Europa, da Venezia alla penisola iberica, da Firenze ai paesi di lingua tedesca, non fu più la stessa». Il pregio dell’opera (edita nel 2002) è di evidenziare le cause, le vie di trasmissione dell’infezione e il quadro clinico della peste. Ma non solo. Informa su come si diffuse in Italia, occupandosi specialmente della sua propagazione a Messina, Firenze, Pistoia e Venezia. Successivamente pone in risalto la sua diffusione nella penisola iberica, in Francia, Germania, Inghilterra e penisola scandinava. Il Bergdolt con maestria sottolinea le conseguenze economiche e sociali della pandemia e quale peso ebbe la stessa nell’ arte figurativa e nella letteratura italiana ed europea.
-
Il re barbaro e la dominazione dei Longobardi in Italia Desiderio, ultimo re dei longobardi, segnò con le sue gesta la storia d’Italia. Ricordato come barbaro, fu l’emblema e l’ultimo fulgore di una civiltà che per due secoli fiorì in Italia e le cui tracce permangono nel patrimonio artistico di città come Brescia, Pavia, Benevento, Salerno. Come duca di Tuscia conquistò il potere avendo la meglio su
Rachtis, il re-monaco che si era ritirato a Montecassino prima di tentare un nuovo assedio al trono. Fu legato a Brescia, dove stabilì il monastero di San Salvatore dal quale regnò sull’Italia dell’VIII secolo. Durante il suo lungo regno fu prima protetto dai Franchi e difensore del papato, quindi alleato di Carlo Magno, e poi, infine, nemico dei papi e di Carlo. Vinto alle Chiuse di Susa dai Franchi, Desiderio fu assediato a Pavia, finché nel giugno del 774, arresosi, fu rinchiuso nel monastero di Corbie, dove poco dopo morì. Dopo essere stato sconfitto da Carlo Magno, il suo regno fu subordinato ad un potere esterno alla penisola italiana, sancendo la nascita della dominazione territoriale della Chiesa di Roma. Il brusco e drammatico precipitare degli eventi che segnarono la fine dei Longobardi ha reso difficile il ricordo della sua figura che questa biografia intende ricostruire, proponendo una narrazione degli ultimi vent’anni di storia del regno longobardo diversa da quella scritta dai vincitori della complessa partita che si giocò in Italia nella seconda metà del secolo VIII. Riportiamo parte della interessante recensione scritta da Edoardo Castagna su Avvenire del 27.12.19 "Gasparri, docente di Storia dell’Alto Medioevo a Ca’ Foscari, prende di petto la questione: «La grande narrazione della storia d’Italia non comprende i barbari nel suo seno. È fondata su Roma e sulla sua eredità. Anche il relativo interesse che i Longobardi e gli altri barbari talvolta riscuotono in questi ultimi anni va ricondotto pur sempre alla loro presunta estraneità all’Italia. Interessano infatti come esempio antico di migranti». La storiografia si è lasciata alle spalle da tempo una simile semplificazione, «ma di questa grande opera di revisione è filtrato abbastanza poco nel comune senso storico ». Già le stesse “invasioni” barbariche sono viste sempre meno come grandi movimenti di massa e sempre più come processi di progressiva infiltrazione e assimilazione, scaglionati lungo l’ampio arco di tempo che chiamiamo Tarda Antichità e Alto Medioevo, nel mondo grecoromano; e perfino il concetto di “popolo” – barbarico o meno che fosse – è stato messo in discussione, giacché al loro interno i vari gruppi che si accostavano, più o meno pacificamente, all’Impero erano tutto fuorché omogenei. Nei Longobardi che nel 568 entrarono in Italia c’era di tutto: Sassoni, Avari, Gepidi, perfino “Romani”, per lo più Bizantini, assorbiti durante la lunga permanenza del popolo a ridosso del Limes. Una volta giunta in Italia, poi, questa gente eterogenea si confuse rapidamente – superata la primissima fase dell’“invasione” – con la popolazione locale, tanto che presto il termine “longobardo” perse ogni connotazione “etnica” e passò a indicare semplicemente qualsiasi abitante del regno longobardo, cioè pressoché tutta l’Italia continentale. Ne rimanevano fuori solo Roma e le ultime roccaforti bizantine (Ravenna, Napoli, la Pentapoli adriatica...): i cui abitanti, indistintamente, erano chiamati “romani”. «I nomi dei popoli – spiega Gasparri – assumono un valore diverso nel corso del tempo. Non capirlo, e restare invece attaccati a delle etichette etniche viste come immobili nel tempo, significa sottrarre i popoli alla dinamica storica, trasformandoli in entità metastoriche: un’operazione, questa, della quale mi sembra giusto sottolineare la pericolosità». Desiderio. Scritto da Stefano Gasparri. Ed. Salierno 2019
-
Dalla VITA DI SAN FRANCESCO (Legenda Maior) di San Bonaventura da Bagnoregio (al secolo Giovanni Fidanza)
-
Le vicende di Gemma e Stella tornano a incantare i lettori nel nuovo libro di Marina Trastulla.
Un erede per il falco (edizioni Nuova Prhomos) romanzo storico di Marina Trastulla. Il volume, che arriva dopo "Il falco ghibellino", regala al lettore un'altra avventura medievale per scoprire i mille sorprendenti dettagli di un'epoca lontana, ma che si respira ancora nei borghi e nei castelli dell'Italia centrale. Insieme all'autrice interverrà l'archeologa Valentina Vincenti; coordina il giornalista Giampiero Tasso. Il libro - Nuove avventure per Gemma, la bella e coraggiosa contessa, che si ritrova invischiata stavolta negli intrighi politici per l’elezione del Pontefice. Il tormentato conclave si tiene a Perugia, le potenti famiglie degli Orsini e dei Colonna, con i loro alleati guelfi e ghibellini, si contendono la carica, infine costrette a una decisione di compromesso. Ma il prescelto sarà capace davvero di governare la Chiesa? O verrà manovrato da una delle fazioni? Le vicende drammatiche che seguiranno vedranno sconvolta anche la tranquilla vita del feudo di Acquapendente, messe in dubbio le convinzioni più profonde, i sentimenti di Gemma per l’uomo che ama, il desiderio di dargli un erede. E anche il giovane fratello, Lamberto, avrà a che fare con l’amore impossibile per una fanciulla della fazione rivale. Veleni politici e contrasti religiosi, persecuzioni, l’assedio di Palestrina, con la tragica sorte di Jacopone da Todi, fiero oppositore di Bonifacio VIII: in questo scenario storico dettagliatamente ricostruito, si muovono i destini dei protagonisti, come sempre in parallelo con le vicende di Stella, la giovane appassionata di Storia medievale che proietta su Gemma i propri sentimenti, timori e speranze, in uno specchio emotivo coinvolgente, dai sorprendenti risvolti. Marina Trastulla è nata a Perugia nel 1968, dove si è laureata in Lettere con una tesi in Storia dell’arte medievale e vive a Perugia con il marito e il figlio, insegna Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado. Sito ufficiale dedicato ai due romanzi: www.ilfalcoghibellino.it
-
"Il Cammino di san Benedetto"
di Simone Frignani
Ed. Terre Di Mezzo, MI -
Tutti hanno un cognome: oggi è un fatto così scontato che lo si potrebbe quasi considerare naturale. In realtà si tratta dell’esito di una lunga storia. Nel co
rso del tempo gli Italiani si sono chiamati fra loro in tanti modi, e quello che noi chiamiamo cognome si è sviluppato molto lentamente, come risultato dell’interazione di vari fattori: la coscienza di sé degli individui e delle famiglie (a cominciare da quelle nobili), la necessità di distinguersi e riconoscersi all’interno delle comunità di appartenenza, la spinta proveniente dalla Chiesa e dagli Stati verso la regolamentazione dell’identità onomastica di ognuno. La nascita dei cognomi non è stata perciò un evento puntuale e irreversibile, ma un processo segnato da contraddizioni, deviazioni, passi indietro e anche notevoli differenze fra una parte d’Italia e l’altra. È un tema appassionante che intreccia le grandi questioni storiche, quali la persistenza della tradizione romana nell’Alto Medioevo, la formazione delle signorie territoriali, l’impatto del concilio di Trento, l’azione di governo delle burocrazie dell’assolutismo illuminato, con quelle a noi più vicine, come il nazionalismo linguistico, le persecuzioni, le migrazioni del Novecento e oggi la questione ancora aperta del diritto di trasmettere il cognome materno. È una storia non del tutto finita e che non finirà mai. Roberto Bizzocchi I cognomi degli Italiani Una storia lunga 1000 anni Edizioni Laterza
-
Come vivevano gli uomini, le donne e soprattutto i bambini nel Medioevo? Cominciamo dalla stanza da letto, vivacemente utilizzata anche di giorno, per pranzare, studiare, ricevere visite e, se si fosse stati re, per applicare la giustizia. Come era ammobiliata? E come ci si difendeva dall’ assillo per eccellenza, il freddo? Perché i neonati venivano fasciati come piccole mummie e il rosso era così presente nel loro abbigliamento? Crescere era difficile per un bambino: mancanza di igiene, cibo inadatto, balie incuranti. E il demonio, sempre in agguato, che faceva ammalare, rapiva e uccideva. Imparare a leggere e scrivere, un divertimento nell’ ambiente domestico, un incubo quando entrava in scena il maestro, sempre severissimo. Molti i giochi all’ aperto
, assai pochi i giocattoli veri e propri. Giocavano i bambini, meno le bambine. Se mandate in monastero non necessariamente avevano un destino infelice. Hanno copiato codici, scritto testi, miniato smaglianti capolavori. Se ci si allontanava dalla casa o dalla cella per un viaggio, che cosa poteva capitare? Quali avventure nelle strade brulicanti di pellegrini, penitenti, malfattori? A tutte queste domande e ad altre ancora risponde l’autrice in, un racconto reso vivacissimo anche da stupefacenti immagini. Riportiamo un passaggio dalla recensione di Francesco Stella : “Qualche bambola di legno dall’ aspetto vagamente spettrale che abitua a desideri parchi e fantasia. Poi trottole, volani, trampoli, per giocarci all’aperto, quando tempo e stagione lo consentono. Se il quotidiano medioevale contempla anche aspetti di felicità è per mancanza di modelli alternativi: tant’ era, punto e basta. Chiara Frugoni il medioevo lo studia, lo insegna, lo frequenta da medievalista di fama comprovata. I suoi lavori vantano traduzioni persino in coreano: l’ultimo - uscito da poco per il Mulino - si intitola “Vivere nel medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini” (Ed. Il Mulino, euro 40,00) e ne conferma appieno la caratura accademica. Il saggio è da non perdere: il millennio di mezzo restituito attraverso ambiti social-familiari, e un corpus iconografico di abbagliante bellezza. Per dirla in modo diverso: parole e immagini per l’affresco minuto di usi e costumi medioevali cui si perviene, per stessa ammissione dell’autrice, “annodando testi e immagini in un filo continuo”, rivelatore di “aspetti insoliti e sorprendenti”. (da Il Manifesto, 17.12.17)
Vivere nel Medioevo Donne, uomini e soprattutto bambini
Chiara Frugoni
Edizioni "Il Mulino" - euro 40,00
-
Abbiamo ormai molte Guide sull’ Umbria che illustrano in maniera molto approfondita e dettagliata questa Regione. Ogni Guida sembra aprire comunque, ogni volta, una pagina nuova su una realtà che a noi sembra di conoscere ed invece … questo
è un fatto sicuramente positivo, perché conferma quanto sia ricca l’Umbria, e quanto ancora dobbiamo impegnarci a scoprirla in ogni suo angolo ed aspetto! Infatti il nostro scaffale in questi giorni si è arricchito di un nuovo titolo: “111 Luoghi dell’ Umbria che devi proprio scoprire” scritto da Fabrizio Ardito (Edizioni Emos:, euro 14,95). Fabrizio Ardito ha già scritto testi molto importanti su luoghi più curiosi e nascosti dell’Italia, ed ora si dedica all’Umbria che “… conserva nel suo territorio la più grande varietà di paesaggi, ambienti e panorami. Piccola, ma mai banale, la regione scende dalla neve delle vette dell’ Appennino fino alle coste del Lago Trasimeno, s’inerpica su colli coperti d’ulivi argentati e foreste oscure e sembra riposare davanti allo scorrere dei suoi fiumi.” Il suo libro allinea in ordine alfabetico paesi, città e località. Si parte con Allerona per finire con Viceno (Orvieto). Sembra essere un modo non “logico” di intendere una Guida, ed invece, in modo quasi casuale, si viene a conoscenza di situazioni davvero interessanti, come ad esempio Ferentillo con la Cripta di Santo Stefano, del mistero delle mummie e subito dopo Foligno con l’opera di Gino De Dominicis, l’ enorme scheletro alieno denominato “Calamita Cosmica”, esposto all’interno della ex-Chiesa alla Santissima Trinità. Di Assisi non si presenta la Basilica di san Francesco ma l’Abbazia di S. Benedetto al Subasio, oppure la domus di Properzio; come di Perugia si parla della Cappella del sant’Anello di Maria o dell’ Oratorio dei Disciplinati. La guida contiene molte curiosità di carattere storico, culturale, artistico ed anche enogastronomico e sono sempre presentate come un “indizio” adatto a stimolare una visita ed una conoscenza più approfondita dell’ intera nostra Umbria. 111 Luoghi dell' Umbria che devi proprio scoprire. Ardito Fabrizio 2016, pagg. 234, ed. Emons
-
"La Città Medievale"
di Alberto Grohmann -
E' uscito un nuovo libro "Sulle tracce di San Francesco" di Attilio Brilli e Simonetta Neri, edito da "Il Mulino" e dalle prime pagine ben si intende il taglio che gli autori hanno voluto dare a questo loro impegno. "Sbarcato nel 1431 a capo d'Otranto di ritorno dal suo terzo pellegrinaggio a Gerusalemme, Mariano da Siena, rettore della chiesa senese di San Pietro a Ovile, risale la penisola fino all'Umbria settentrionale con il preciso intento di recarsi ad Assisi, prima di raggiungere la sua città. Mariano annota
nel suo diario di aver fatto visita al "nobile e bello monistero" di Santa Chiara, a San Damiano e a Santa Maria degli Angeli "per lo perdono". Per quanto tarda, la testimonianza a un notevole rilievo per il modo in cui attesta l'essersi già consolidato, all'epoca, il percorso devozionale e turistico dei santi luoghi assisani, ivi compresa la ricorrenza del Perdono a Santa Maria degli Angeli. Ma eccezionale si rivela il riferimento alla visita effettuata al romitorio del Subasio, nella località detta le Carceri, ovverosia alla grotta in cui dimorano i frati francescani, "in su la paglia", sulle pendici ricche di anfratti del monte. (...)" pag.9 Questo volumetto rievoca viaggi alla ricerca dei quattordici romitori francescani tuttora esistenti lungo la dorsale appenninica fra Toscana, Umbria e Lazio nei resoconti di William Blake Richmond, Edith Wharton, Vernon Lee, Dino Campana, Corrado Ricci, Guido Piovene ed altri. Sulle trace di San Francesco. Attilio Brilli e Simonetta Neri Ed. Il Mulino, 2016
-
Museo Regionale della Ceramica Largo San Francesco - Deruta (PG)
Telefono: +39 075 9711000 - Fax: +39 075 9711000 E-mail: deruta@sistemamuseo.it luglio - settembre 10.00 – 13.00 / 15.00 – 18.00 chiuso il lunedì e il martedì Il Museo Regionale della Ceramica di Deruta è il più antico museo italiano per la ceramica; istituito nel 1898, conserva oltre 6000 opere ed è ospitato nel trecentesco complesso conventuale di San Francesco, interamente restaurato. La sistemazione definitiva disegna un percorso innovativo, che si sviluppa dal piano terra ai due piani superiori, è introdotto da una sala didattica e descrive, organizzata in periodi, l’evoluzione della maiolica derutese dalla produzione arcaica a quella del Novecento. Sono salvaguardate alcune aree tematiche, come la ricostruzione di un’antica spezieria, collezioni presentate integralmente, la sezione dei pavimenti in maiolica e quella delle targhe votive.La peculiarità che rende unico il museo è la presenza di una torre metallica di quattro piani comunicante su tutti i livelli con l’edificio conventuale; si tratta di un’imponente struttura riservata ai depositi, accessibile al pubblico e debitamente attrezzata per attività di studio. La sezione contemporanea è costituita principalmente da opere provenienti dal Multiplo d’Artista in Maiolica e dal Premio Deruta; la sezione archeologica offre invece un significativo panorama dei principali tipi di vasellame prodotti in epoca antica e riunisce oggetti di ceramica greca, italiota, etrusca e romana. Dal settembre 2013 il percorso di visita comprende anche l’Area Archeologica delle Fornaci di San Salvatore, rinvenuta fortunosamente nel 2008, durante i lavori per la realizzazione di un parcheggio pubblico nell’area del centro storico a ridosso delle mura castellane, dove era ubicata, fino agli inizi del XX secolo, la Chiesa di San Salvatore, a pochi metri dalla sede del Museo Regionale della Ceramica.
L’indagine archeologica, conclusasi nel 2010, ha messo in luce una sequenza di strutture databili tra la fine del Duecento e gli inizi del Settecento e ha consentito il recupero di un numero consistente di reperti ceramici del genere della maiolica, della ceramica ingobbiata e graffita e delle terrecotte invetriate. Nella zona nord dell’area archeologica è visibile un tratto delle mura medievali della fine del Duecento; sul lato interno è stato rinvenuto un ambiente ipogeo in mattoni costruito tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento, in origine probabilmente adibito allo stoccaggio di argilla e metalli grezzi e successivamente utilizzato come “butto”. A ridosso delle mura attuali sono state rinvenute due fornaci di forma sub-rettangolare con prefurnium ben conservato, databili tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo. L’impianto produttivo principale dell’area, attivo tra la seconda metà del XV e gli inizi del XVIII secolo, è costituito da vari ambienti collegati tra loro con al centro due fornaci, una vasca per la decantazione dell’argilla e i resti di un forno fusorio. La più piccola delle due fornaci, di forma quadrata, è posizionata ad una quota più alta rispetto alla fornace principale (di forma circolare) ed è, con ogni probabilità, la fornace per la produzione del “lustro”. Oggi un audace tunnel sotterraneo collega il Museo Regionale della Ceramica con l’Area Archeologica delle Fornaci di San Salvatore e consente un itinerario unico che si snoda dalle antiche fornaci per la cottura della ceramica alle collezioni storiche, fino alle produzioni del Novecento e agli spazi dedicati alle conferenze, alle attività didattiche e di laboratorio e alle mostre temporanee. La biblioteca specialistica del Museo della Ceramica di Deruta, ricca di oltre 2000 volumi, costituisce uno dei più forniti centri di documentazione specializzati sull’arte ceramica. La preziosa raccolta conserva volumi di storia dell’arte ceramica, manuali, riviste specialistiche, cataloghi di storia dell’arte, monografie, fondi antichi e specialistici. La biblioteca oggi ha sede presso la Casa della Cultura e dell’Associazionismo, nel centro storico di Deruta (per informazioni: Comune di Deruta, Ufficio Cultura, tel. +39 075 9728649).
-
Stella, giovane insegnante in una scuola di Perugia, per salvare la casa di famiglia fa un accordo con un amico del padre: in cambio di un finanziamento deve scrivere un romanzo. Decide di ambientarlo nel Medioevo, tra Firenze e Perugia, nobili e mercanti, al tempo della battaglia di Campaldino che contrappone guelfi e ghibellini. Prende vita così la protagonista, Gemma, di una nobile famiglia ghibellina di Acquapendente, che finisce nel castello di Romena, come dama di compagnia dei conti Guidi, con la prospettiva di un matrimonio combinato e un destino già segnato. Ma la protagonista della sua storia è tutto ciò che Stella non riesce ad essere: coraggiosa, decisa, anticonformista; grazie alle sue doti e alle sue passioni per la caccia col falco e la medicina erboristica, riuscirà a dare una svolta sorprendente alla propria vita, tornando padrona del suo destino. Stella si accorge di essere cambiata, da quando ha iniziato a scrivere: non riesce più ad accontentarsi della vecchia vita, fatta di letture e della compagnia del gatto. L’incontro col misterioso fratello del suo vicino di appartamento, così stranamente somigliante ad uno dei personaggi del libro, porterà le vicende di Stella e Gemma a rispecchiarsi in modo inatteso e alla fine la scrittrice troverà la forza di affrontare tutte le sue paure e portare alla luce il vero io interiore. Marina Trastulla è nata a Perugia nel 1968, dove si è laureata in Lettere con una tesi in Storia dell’arte medievale e vive a Perugia con il marito e il figlio. È docente di Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado, dove, tra l’altro, si occupa di scrittura creativa per studenti. Ha da sempre coltivato la passione per la Storia e la narrazione, con particolare attenzione al Medioevo che le ha ispirato il romanzo “Il falco ghibellino” tra verità storica e fiction. Il falco ghibellino (Edizioni Nuova Prhomos) di Marina Trastulla www.ilfalcoghibellino.it
-
Scopo del libro è quello di offrire al lettore la possibilità di conoscere la storia di alcuni giochi da tavolo praticati nel medioevo in Europa, con il preciso obiettivo di spiegarne le regole, fornirne i materiali e le indicazioni per costruirli e giocarli. Il libro quindi diventa anche gioco essendo corredato da un “tavoliere” in cartoncino e dalle relative “pedine”. Interessanti risultano le note storiche con un capitolo dedicato al gioco d’azzardo e alle relative norme di divieto. La parte centrale del lavoro di Ceccoli è dedicata alla spiegazione delle regole. A tal fine, quando il testo non risulti sufficiente per una perfetta comprensione del funzionamento, l’autore utilizza immagini e disegni esplicativi. In appendice vengono riportate notizie sulla nascente passione di praticare giochi basati sulla simulazione storica e la ricerca di come veniva utilizzato il tempo libero in epoca medioevale. Autore Ceccoli Giancarlo appassionato di simulazione storica da oltre 25 anni, ed oltre ad essere un giocatore colleziona anche i board-wargames. Presidente di un'associazione ludica, collabora con la rivista Tangram ed è playtester della GMT (azienda americana, leader nel settore wargames). Ha progettato alcune simulazioni storiche. Nato nel 1958, vive a Dogana nella Repubblica di San Marino.Giocare nel Medioevo. Conoscere e costruire i giochi in uso fra XIII e XIV secolo. Un'esperienza di ricerca storica di Ceccoli G. Carlo Prezzo: € 14.00
-
"Gusti del Medioevo"
di Montanari Massimo
Editore Laterza -
Hanno iniziato la loro avventura coltivando spezie e ricercando gli usi d’un tempo. Poi Daniela Stucchi, naturopata, appassionata di arte culinaria e in particolare dell’utilizzo delle spezie di Montjovet, e l’amica Cristina Faccini di Donnas, hanno deciso di puntare su un nuovo prodotto, un vino medievale. È nato così il Claretum, vinificato secondo un’antica ricetta medievale della fine del 1400, ritrovata in documenti conservati ad Aosta.
Stucchi, anche aspirante sommelier e cultrice del buon vino, è appassionata di storia romana e medievale. «Ma non quella ufficiale che si studia a scuola - dice - ma da un punto di vista enogastronomico». La passione per le spezie e per la storia l’ha portata a ricercare e a trovare in documenti valdostani originali del XV secolo, la ricetta del Claretum, vino medievale speziato. E da lì a ricrearlo il passo è stato breve. «Tutto è nato quasi per caso - aggiunge -. Su invito di Cristina Faccini, ho contribuito all’apertura di una cantina alla veillà di Sant’Orso di Donnas. Volevo preparare un prodotto coerente con lo splendido borgo medievale di Donnas. Cosa c’era di meglio di un vino preparato secondo una ricetta medievale? E così è stato. È piaciuto subito, tanto che, l’anno dopo, ancora alla veillà di Donnas, l’ho riproposto. Tanti mi chiedevano se era in vendita e allora mi sono organizzata». Il Claretum è stato presentato per la prima volta alla fiera di Sant’Orso 2016 di Donnas. «Ho scelto la fiera di Donnas innanzitutto perché da lì è partita l’idea, ma non solo: Sant’Orso è all’origine di questo vino medievale. Infatti il Claretum, citato in documenti della fine 1400, veniva preparato in occasione delle grandi festività e servito a inizio e fine pasto ai canonici di Sant’Orso il cui priore era Giorgio di Challant. Ecco perché il nome per esteso è “Claretum Sancti Ursi: Claretum di Sant’Orso”» aggiunge Stucchi. Il vino liquoroso, dall’aspetto cristallino e dal colore giallo dorato, con un finale amarognolo caratterizzato dalla cannella, è un ottimo aperitivo, ma può essere gustato come vino da dessert o da meditazione. «Nel Medioevo veniva servito a inizio e fine pasto - dice ancora Stucchi -. Ancora oggi il Claretum, servito fresco con un po’ di ghiaccio, è ottimo come aperitivo per accompagnare formaggi erborinati quali gorgonzola, Bleu d’Aoste, Fontina, ma anche cioccolato fondente, dolci a base di farina di castagne, noci e uvetta». Può inoltre essere un ingrediente originale per i cocktail e molti chef hanno cominciato ad utilizzare Claretum nelle loro ricette di cucina. «Stiamo partecipando a rievocazioni storiche in tutto il Nordovest d’Italia per far conoscere questo vino medievale anche fuori dalla Valle d’Aosta e riceviamo molti apprezzamenti» dice ancora Stucchi. E proprio questo successo ha indotto Le Speziali, questo il nome che si sono date le due giovani intraprendenti, a programmare il futuro. «Quest’anno abbiamo dato a un esperto vigneron il compito di vinificare - conclude Stucchi - Visto che piace e si vende bene, abbiamo deciso che il prossimo anno vinificheremo noi. Sarà una nuova avventura». di Daniela Giachino da "La Stampa" del 28 giugno 2016
-
In un’epoca storica come il Basso Medioevo in cui l’aspettativa di vita oscillava tra i 25 e i 40 anni, i rappresentanti dell’ordine dei cavalieri Templari raggiungevano di frequente il doppio dell’età e non di rado superavano i 70 anni. Ne è un esempio Jacques de Molay, l’ultimo Maestro dell’ordine, il quale spirò alla veneranda età di 71 anni condannato al rogo, quindi non per cause naturali.
È quanto emerge dai documenti storici relativi all’ epoca compresa tra l’XI e il XIV secolo, che portano a immaginare i Templari come agli ultracentenari di quel tempo. «È evidente che c’era una peculiarità nel loro stile di vita che li portava a vivere più a lungo degli altri, riconducibile in primo luogo alla loro alimentazione», sottolinea Francesco Franceschi, direttore del reparto di medicina d’urgenza al Policlinico Gemelli di Roma, che ha firmato una ricerca dal titolo «The diet of Templar Knights: Their secret to longevity?», da poco apparsa sulla rivista scientifica internazionale "Digestive and Liver Disease". PESCE E MOLTI LEGUMI «I rappresentanti dell’ordine dei Templari – spiega Franceschi – seguivano uno stile di vita sancito dalla “regola templare latina”, che includeva capitoli riguardanti l’alimentazione e l’igiene a tavola. Riguardo all’ alimentazione – prosegue il professore – una regola vietava loro di mangiare carne per più di tre volte alla settimana. Questa era sostituita con pesce, verdure e soprattutto legumi, che rappresentano i più potenti prebiotici presenti in natura e ilnutrimento ottimale dei batteri buoni che compongono la flora intestinale», avverte il professore. Rispetto all’ alimentazione classica del tempo, prevalentemente a base di carne (specialmente per le classi agiate), i Templari prediligevano quindi un modo di mangiare a ridotto contenuto di grassi, che allontanava il rischio di tumori del tratto digestivo e di sindrome metabolica, che da sempre costituisce un terreno fertile per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete e tumori. IGIENE E QUALITÀ IN TAVOLA Anche l’igiene in tavola aveva la sua importanza. I rappresentanti dell’Ordine dei Templari nutrivano infatti attenzioni particolari alla pulizia e alla qualità degli alimenti: mangiavano solo in refettori curati e su tovaglie pulite, avevano l’obbligo di lavarsi le mani prima di mangiare e vietavano a chi faceva lavori manuali – ad esempio ai maniscalchi o ai contadini – di servire il cibo in tavola, in modo da mantenere la giusta igiene durante i pasti. Il cibo consumato era inoltre sottoposto a stretti controlli che interessavano tutta la filiera, così che venivano portati in tavola alimenti di buona qualità e privi di potenziali rischi di trasmissione di malattie virali o parassitarie. Inoltre, sottolinea Franceschi: «I Templari furono i precursori della piscicoltura e quindi allevavano il pesce che mangiavano. In più era vietato loro il consumo di cacciagione, mentre la carne e altri prodotti che mangiavano provenivano esclusivamente dall’ Europa e quindi erano più sicuri e di qualità». ALCOL «DILUITO» Dai documenti storici traspare che anche il loro modo di bere era migliore. In sostituzione al vino classico, ad esempio, gli appartenenti all’ordine preferivano il vino di palma a cui veniva aggiunta polpa di canapa e aloe vera. «Questo tipo di vino, presente specialmente in Terra Santa, è caratterizzato da un basso grado alcolico e oggi sappiamo che il basso contenuto di alcol ha una proprietà antiaggregante piastrinica del tutto simile a quella della cardioaspirina. Lo stesso vino di palma serviva poi a liberare l’acqua da parassiti e agenti patogeni» spiega Franceschi. L’acqua inoltre era spesso insaporita con agrumi, che oltre a disinfettarla fornivano vitamina C e licopene, elementi utili sul piano metabolico e nella prevenzione di numerose patologie. «In conclusione – afferma Franceschi – la dieta e le abitudini di vita potrebbero essere la spiegazione per la straordinaria longevità dei Templari: se questo è il caso, il motto “imparare dal passato” non è mai stato così appropriato». da "La Stampa" del 30 marzo 2016
-
I primi tentativi di far decollare l’archeologia medievale in Italia, nell’arco di tempo che va dalla nascita della nazione al secondo dopoguerra, sono tentativi falliti. Si è definita l’archeologia medievale ‘uno specialismo mancato’. Come mai? Perché mentre nel resto dell’Europa l’archeologia dedicata al Medioevo inizia ad affermarsi, da noi questo non succede? La risposta è piuttosto semplice: mentre nelle altre nazioni fare archeologia medievale significa indagare le proprie origini, dopo la dominazione romana da noi il Medioevo è percepito soprattutto come un periodo oscuro, negativo, durante il quale l’Italia è stata assoggettata e invasa da vari popoli stranieri. La nostra attenzione è stata quasi unicamente volta all’età romana, che è il vero momento fondativo della nazione, togliendo spazio ad altre archeologie di età storica. Grazie a una scrittura piana e lavorata appositamente per raggiungere la massima comprensibilità, all’ampio apparato di illustrazioni, Archeologia dell’Italia medievale un testo per chiunque voglia approfondire la conoscenza della disciplina, utile per chi fa ricerca e per i corsi universitari. Un manuale e un saggio rigorosamente documentato e aggiornato, che vuole dar conto dello stato dell’arte di questa disciplina. Archeologia dell'Italia medievale di Andrea Augenti Editore Laterza -
L´arte di camminare a piedi si è quasi completamente perduta all´interno della nostra civiltà tecnologica, caratterizzata dagli spostamenti in automobile e dalla rapidità di movimento. Ci spostiamo appunto, ma non camminiamo più e stiamo perdendo una dimensione antropologica essenziale alla vita degli esseri umani.
-
“I Templari” di Paolo Lopane Ogni volta che arriva in libreria una nuova pubblicazione sui Templari è sempre utile leggerla. Perché aggiunge domande, accentua i chiaro/scuri, stimola nuove riflessioni. Così è stato con il testo di Paolo Lopane “I Templari” di Besa Editrice.
Lopane racconta in modo vivace e ricco di particolari la storia dell’Ordine, confrontandosi con i documenti dell’epoca cristiana ed anche del mondo arabo. La cosa che alla fine mi fa più pensare, ed anche mi affascina, mi incuriosisce, è perché inventarsi “un corpo militare” da far vivere all’ interno della Chiesa? Lo “sforzo” teologico usato nell’individuare la giustificazione ed il sostegno per quella presenza: la difesa dei luoghi santi! La crescita ed evoluzione del movimento Templare all’ interno di una forte contraddizione, nonostante l’ aperto conflitto. Tutti elementi che poi nel corso del tempo esploderanno, come dire … tutti i nodi vengono al pettine! Ad una lettura più attenta rimangono in evidenza i due poli estremi in cui rimane imprigionato il soggetto, “il duplice conflitto”: un forte materialismo da un lato, un forte spiritualismo dall’ altro. E che ha portato l’Ordine all’ evoluzione che storicamente conosciamo: un luogo privilegiato di aggregazione economica e politica. Con spiccate caratteristiche di autonomia ed autosufficienza. Il ruolo importante di Bernardo da Chiaravalle che fornisce una base teologica alla nascita dei Templari, “giustificando” anche l’uso della violenza e della guerra! Questo fatto è talmente dirompente che scardina tutto l’impianto teorico cristiano elaborato nel corso dei secoli. “Un nuovo genere di cavalleria è apparso nel mondo” dirà l’abate nel De Laude, ed amava ripetere: “ Vedrete voi stessi … come si possa trarre il miele dalle pietre e l’olio dalle rocce più dure.” (R.B) Paolo Lopane; I Templari BESA Editrice; 2015; pp. 149; euro 14,00
-
Carlo Roberto Petrini è alla quarta pubblicazione. L’autore con questo nuovo libro offre una nuova lettura sulle vicende storiche del Patrono della sua Città, sottolineando che a Trevi la devozione per sant’Emiliano esprime l’identità del territorio, al punto da associarne il ricordo del martirio, nel 304, all’ albero dell'olivo, simbolo del paesaggio e dell’economia locali.
-
"L' alba dei libri"
di Alessandro Marzo Magno
Ed. Garzanti -
"La decorazione pittorica medievale della Chiesa di Sant' Agostino di Perugia" di Tatiana Magrini
-
"Medioevo militante" di Tommaso di Carpegna Falconieri
-
L’inganno del gran rifiuto di Barbara Frale La vera storia di Celestino V, papa dimissionario prefazione di Franco Cardini
Ed. Feltrinelli, 2013 Il 5 luglio 1294, dopo oltre due anni di Sede vacante, i cardinali riuniti in conclave finalmente convergono su un uomo del tutto estraneo alla Curia Romana, l’eremita abruzzese Pietro da Morrone. Digiuno di politica e lontanissimo dalle logiche del secolo, Celestino V si sente fin da subito a disagio tra i fasti di Roma, al punto che dopo soli cinque mesi comunica ai porporati la decisione di deporre la tiara. Il suo gesto apre la strada all’elezione di Bonifacio VIII, cardinale dalle notevoli doti diplomatiche, una nomina salutata dal mondo intero come provvidenziale. Non è di quest’idea, però, Dante, che nel terzo canto dell’Inferno sembrerebbe riferirsi proprio a Celestino con il verso «colui che fece per viltade il gran rifiuto». Sembrerebbe, appunto. Barbara Frale ricostruisce in questo libro la storia di Celestino, del suo rapporto con Bonifacio, raccontando eventi poco noti, non di rado delittuosi, risvolti e retroscena, infamie e amare verità che danno a questa biografia le sfumature del romanzo gotico. Protagonisti, insieme a Celestino V e Bonifacio VIII, sono il re di Francia Filippo il Bello, il re di Napoli Carlo II d’Angiò, le grandi famiglie nobiliari romane, i teologi della Sorbona, e un secolo, il Trecento, particolarmente gravato da scandali, processi, dispute dottrinali e lotte di potere, rese più infuocate dalla propaganda di tutte le parti in gioco. Fino a impedire di vedere nel “gran rifiuto” l’inganno che in realtà è stato.
-
"L'Apocalisse dei Templari"
di Simonetta Cerrini
Ed. Mondadori, MI -
Spesso nel dibattito culturale si usa apostrofare criticamente uno specifico comportamento con: “ … stiamo tornando al Medioevo !!” e così chiudiamo il discorso ed anche ogni possibile ulteriore confronto con il nostro interlocutore. A mettere in crisi questo tipo di atteggiamento è arrivato il libro di Maurizio Pallante con il titolo “Monasteri del terzo millennio” .
Ma chi è Maurizio Pallante? Laureato in lettere, è stato dapprima insegnante e preside. Ha poi svolto attività di ricerca e divulgazione scientifica sui rapporti tra ecologia, tecnologia ed economia, con particolare riferimento alle tecnologie ambientali. Nel 1988,è stato tra i fondatori del Comitato per l’uso razionale dell’energia (CURE). Successivamente, è stato consulente per il Ministero dell'Ambiente riguardo all'efficienza energetica. Nel 2007 è stato il fondatore del Movimento per la Decrescita Felice, di cui è leader. I Monasteri del terzo millennio Pallante propone quindi di analizzare i principi su cui era organizzata la vita monastica, per vedere se possa offrire qualche indicazione utile ad affrontare le maggiori difficoltà che caratterizzano la fase attuale della storia. I monasteri dal punto di vista economico e produttivo erano strutture tendenzialmente autosufficienti. “Monasteri del terzo millennio” offre un contributo particolarmente stimolante alla discussione sul “nostro modello di sviluppo” di oggi. Esprime posizioni molto radicali, tratteggia un’analisi severa della fase in cui ci troviamo a vivere ed offre una soluzione, indica una strada facendo esplicito riferimento al modello dei monasteri benedettini di millecinquecento anni fa, perché abbiamo “ … identificato il ben-essere col tanto-avere, la qualità con la quantità, la ricchezza col denaro, il lavoro con l’occupazione (…) Questa narrazione del mondo è stata così totalizzante che chi non si è uniformato ai valori che promuoveva è stato considerato un disadattato, destinato a rimanere ai margini della storia.” (pag. 110) Comunità per scelta Questa “… crisi dell’economia della crescita ha indotto un numero sempre maggiore di persone a rivalutare i rapporti comunitari. In particolare ci si domanda se sia possibile ricostruire delle comunità per scelta, in grado di superare il limite di fondo delle comunità tradizionali … il bisogno di realizzare forme di vita alternative.” (pag. 81) E proprio a questo punto dell’analisi “ oggi, a mille e cinquecento anni di distanza dalla stesura della regola benedettina, l’esperienza monastica è ancora viva. Ha attraversato fasi alterne, come era inevitabile.(…) E, ovunque, la dimensione spirituale continua ad essere nutrita da un lavoro finalizzato all’ autoproduzione e da rapporti interpersonali fondati sul dono e la reciprocità. (…) La ricerca di una vita più autentica non è mai un atto di egoismo, di chiusura in se stessi. “ (pag. 94) Soltanto una domanda Il punto di vista di Maurizio Pallante suscita molti interrogativi, ad esempio uno: nella realtà attuale dei mercati dove tutto è interdipendente, come è possibile ritagliarsi uno spazio con regole di funzionamento completamente diverse? (Rolando Boco) Maurizio Pallate, Monasteri del terzo millennio, Lindau Ed., pagg. 169, Torino, 2013, euro 13,00
-
"L' Umbria dei Mulini ad acqua"
Alberto Melelli e Fabio Fatichenti
Ed. Quattroemme -
"Chiara di Assisi"
di Dacia Maraini
Ed. Rizzoli -
La casa Editrice "Il Mulino" ed "Editori Laterza" hanno presentato in questo ultimo periodo alcuni testi sull' età medievale di particolare interesse: La lingua di Dante, di Paola Manni, Collana "Le vie della civiltà", pp. 256, € 19,00 Con Dante si realizza il predominio del volgare t
oscano e, insieme, il declassamento a dialetto di ogni altra parlata italiana. Nato e formatosi nella Firenze della seconda metà del Duecento, Dante fu testimone diretto dell’ascesa dell’idioma volgare, che andrà via via imponendosi a tutti i livelli, negli usi pratici come pure in quelli letterari. E fu appunto il volgare che egli scelse, legittimò e raffinò come strumento espressivo nelle sue opere, dalla «Vita nuova» al «Convivio», alle liriche e alla definitiva consacrazione della «Commedia». Questo libro traccia un prezioso profilo della lingua dantesca, di cui vengono illustrate le caratteristiche morfologiche, lessicali, sintattiche e stilistiche. Paola Manni insegna Storia della lingua italiana nell’Università di Firenze. Fra i suoi volumi ricordiamo una raccolta di «Testi pistoiesi» delle origini (Accademia della Crusca, 1990) e il recente «Glossario leonardiano» curato con M. Biffi (Olschki, 2012). Per il Mulino ha pubblicato anche «Il Trecento toscano» (2003). Dal 2011 è membro dell’Accademia della Crusca, di cui è vicepresidente. Il sovrano pontefice di Paolo Prodi Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Collana "Storica paperbacks", pp. 448, € 15,00 «una pietra miliare nello studio del papato moderno e del suo rapporto con l’evoluzione politica dell’Europa moderna»
American Historical Reviewx Rovesciando una prospettiva tradizionale che vedeva nello stato della Chiesa un ingombrante residuo dell’epoca precedente e un ostacolo allo sviluppo delle forme statuali moderne, questo saggio ormai classico mostra come il pontefice, a un tempo sovrano di uno stato territoriale e capo della cristianità, papa-re, in quello sviluppo giocò in realtà un ruolo decisivo. La monarchia papale fornisce infatti allo Stato il modello per incorporare la religione all’interno della politica e per costruire le moderne chiese territoriali. È questa l’eredità che il papato della prima età moderna ha lasciato alla Chiesa e allo Stato dei secoli successivi. Paolo Prodi è professore emerito dell’Università di Bologna. Con il Mulino ha pubblicato anche «Il sacramento del potere» (1992), «Una storia della giustizia» (2000), «Settimo non rubare» (2009). Nel 2012 è iniziata la raccolta dei suoi scritti, di cui sono usciti i primi tre volumi: «Storia moderna o genesi della modernità?», «Cristianesimo e potere», «Profezia vs utopia».
Federico II - Imperatore, uomo, mito di Hubert Houben Collana "Storica paperbacks" , pp. 220, € 12,00 «agile e arioso... un succinto, efficace strumento critico» Franco Cardini Un profilo sintetico quanto informato dell’imperatore normanno-svevo Federico II (1194-1250), una delle figure più discusse del Medioevo europeo. La prima parte del libro è dedicata alla storia politica di Federico, segnata dalla lotta con il Papato e i Comuni; la seconda si occupa dell’uomo, della sua sfera famigliare, dei suoi interessi filosofici e scientifici, e del suo entourage, di cui facevano parte anche studiosi ebraici e arabi; la terza segue la formazione del mito di Federico attraverso i secoli fino ai giorni nostri. Hubert Houben insegna Storia medievale nell’Università del Salento a Lecce ed è membro del Consiglio scientifico dell’Istituto Storico Germanico di Roma. Ha pubblicato, fra l’altro, «Ruggero II di Sicilia, un sovrano tra Oriente e Occidente» (Laterza, 1999; Premio Basilicata 2000) e «Normanni tra Nord e Sud: immigrazione e acculturazione nel Medioevo» (Di Renzo, 2003). Donne, madonne, mercanti e cavalieri di Alessandro Barbero Sei storie medievali; Edizione Laterza; 2013; pp. 144 Chi erano, come pensavano, come vedevano il mondo uomini e donne del Medioevo?
Sei destini unici che descrivono un’epoca, visti da vicino vicino, come mai li abbiamo conosciuti. Fra’ Salimbene da Parma, il francescano che ha conosciuto papi e imperatori, vescovi e predicatori, e su ognuno ha da raccontare aneddoti, maldicenze e pettegolezzi; Dino Compagni, il mercante di Firenze che ha vissuto in prima persona i sussulti politici d’un comune lacerato dai conflitti al tempo di Dante; Jean de Joinville, il nobile cavaliere che ha accompagnato Luigi il Santo alla crociata, testimone imperturbabile di sacrifici, eroismi e vigliaccherie; Caterina da Siena, che parlava con Dio e le cui lettere infuocate facevano tremare papi e cardinali; Christine de Pizan (si chiamava in realtà Cristina da Pizzano), la prima donna che ha concepito se stessa come scrittrice di professione, si è guadagnata da vivere ed è diventata famosa scrivendo libri; Giovanna d’Arco, che comandò un esercito vestita da uomo e pagò con la vita quella sfida alle regole del suo tempo. È possibile incontrare uomini e donne del Medioevo, sentirli parlare a lungo e imparare a conoscerli? È possibile se hanno lasciato testimonianze scritte, in cui hanno messo molto di se stessi. È il caso di cinque su sei dei nostri personaggi; della sesta, Giovanna d’Arco, che era analfabeta o quasi, possediamo lo stesso le parole, grazie al processo di cui fu vittima e protagonista.
-
E se fosse stato il lupo a salvare san Francesco? Il sospetto lo adombra Chiara Frugoni, la storica considerata, a ragione, la mas
sima esperta di san Francesco e del francescanesimo. In San Francesco e il lupo (Feltrinelli), illustrato in maniera suggestiva da Felice Feltracco, ci racconta una storia delicata e commovente. C'era una volta un lupo che era il capo del suo branco. Diventato vecchio, il branco lo allontanò e si scelse un altro leader. Il vecchio lupo fu costretto a vivere da solo e ad avvicinarsi al mondo degli uomini per trovare qualcosa da mangiare. A causa dei "furti", gli uomini cominciarono ad odiarlo. Poiché correva la voce che un certo Francesco sapesse parlare agli animali, lo pregarono di aiutarli. Così san Francesco cominciò a vagare per i boschi, alla ricerca del lupo... Non vi racconto tutto, altrimenti vi rovino il piacere della lettura. Dirò solo che il lupo e san Francesco si incontreranno, ma non nel modo in cui ci si potrebbe aspettare. E siamo sicuri che sia stato il santo ad ammansire l'animale? E se così è stato, siamo certi che il lupo non ha fatto proprio nulla per san Francesco?