In breve
La principale rappresentazione simbolica del denaro nell’iconografia medievale è una borsa che, appesa al collo di un ricco, lo trascina all’Inferno.
Jacques Le Goff racconta secoli di storia in cui la Carità contava più del Mercato
Il denaro nel senso in cui lo intendiamo oggi è un prodotto della modernità. Non è un protagonista di primo piano del Medioevo, né dal punto di vista economico e politico né da quello psicologico ed etico; è meno importante e meno presente di quanto non lo fosse nell’Impero romano, e soprattutto assai meno centrale di quanto non diventerà nei secoli successivi.
Dai pulpiti medievali risuona la condanna dell’avarizia come peccato capitale e le parole dei monaci e dei frati elogiano la carità ed esaltano la povertà come ideale incarnato da Cristo. Non l’accumulo, non la ricchezza garantiscono il buon vivere. La salvezza è nel dono e nel sostegno ai deboli. La pecunia è maledetta e sospetta, perché il denaro e il potere economico non sono ancora arrivati a emanciparsi dal sistema globale di valori proprio della religione e della società cristiana.
Con l’entusiasmo, la curiosità intellettuale, la scrittura brillante di sempre, Jacques Le Goff regala un prezioso scorcio di mondo.
La recensione
Il mito del Medioevo capitalista
di Jacques Le Goff
Nel suo ultimo libro Lo sterco del Diavolo. Il denaro nel Medioevo lo storico francese Jacques Le Goff traccia una storia dell’economia medievale e della concezione del denaro.
La comprensione dell’economia nel Medioevo è complessa, perché basata non tanto sul profitto, come quella odierna, quanto su ideali cristiani. Anche il concetto di denaro era estremamente differente, poiché nel Medioevo esisteva una molteplicità di unità di scambio non facilmente catalogabili. La circolazione del denaro si intensificò negli ultimi secoli del Medioevo, quando soprattutto nelle città vi fu un forte slancio delle attività finanziarie, il cui sviluppo fu controllato e promosso anche dalle autorità religiose.
Secondo Karl Polanyi, nella società occidentale l’economia non possiede una specificità autonoma fino al XVIII secolo. A suo avviso essa è incorporata in quello che chiama embedded («labirinto delle relazioni sociali»). Ritengo che la sua tesi si applichi alla visione del mondo medievale, che non lascia spazio al concetto di economia, a parte l’accezione di economia domestica ereditata da Aristotele. In questo saggio ho cercato di dimostrare che lo stesso vale per il denaro. Il denaro nel senso qui attribuitogli è una realtà difficile da definire. Albert Rigaudière, che già ho menzionato nell’Introduzione, sostiene a buon diritto che il concetto di denaro sfugge continuamente a chi pretende di rinchiuderlo in una definizione. I principali dizionari testimoniano questa difficoltà a fornire una definizione precisa: «Ogni sorta di moneta e per estensione ciò che rappresenta questa moneta: capitale, fondi, fortuna, contante, pecunia, rendite, risorse, ricchezza, senza contare i termini colloquiali o popolari, come grana».
L’assenza di un concetto medievale di denaro va messa in relazione con la mancanza non solo di un ambito economico specifico, ma anche di vere teorie economiche – gli storici che attribuiscono un pensiero economico ai teologi scolastici o agli ordini mendicanti, in particolare ai francescani, commettono un anacronismo. In generale, nella maggior parte dei settori della vita individuale e collettiva, uomini e donne del Medioevo si comportano in modi che li rendono ai nostri occhi degli estranei e che obbligano gli storici a chiarire il proprio lavoro di ricostruzione alla luce dell’antropologia. L’«esotismo del Medioevo» è particolarmente forte in ciò che concerne il denaro. All’idea che tendiamo a farcene oggi dobbiamo sostituire una realtà medievale caratterizzata dalla pluralità delle monete, che in effetti conoscono una fase di grande varietà e dinamismo relativamente a conio, impiego e circolazione. Il fenomeno è difficile da valutare a causa della scarsità di fonti che riportino cifre prima del secolo XIV; spesso non riusciamo nemmeno a capire se le monete citate in una fonte sono veri pezzi metallici o solo valute di conto.
La diffusione del denaro a partire dal XII secolo, durante quella che Marc Bloch ha chiamato seconda età feudale, coinvolge anche istituzioni e pratiche proprie del mondo feudale. La contrapposizione fra denaro e feudalesimo non corrisponde alla realtà storica. Lo sviluppo della moneta ha accompagnato l’evoluzione della vita sociale medievale nel suo insieme. Per quanto strettamente legato alle città, il denaro è largamente circolato nelle campagne. […]
È chiaro che parallelamente a una certa promozione sociale e spirituale del mercante l’uso del denaro è stato favorito da una lenta evoluzione delle idee e dei comportamenti della Chiesa; si ha l’impressione che essa abbia voluto aiutare gli uomini del Medioevo a salvaguardare nello stesso tempo la borsa e la vita, vale a dire la ricchezza terrena e la salvezza eterna. Dal momento che, pur in mancanza di riflessioni specifiche, un ambito come quello dell’economia esiste al di fuori della consapevolezza che chierici e laici ne hanno, o meglio non hanno, ribadisco la mia convinzione che l’uso del denaro nel Medioevo sia da inserire nell’economia del dono: la subordinazione delle attività umane alla grazia di Dio riguarda anche il denaro. A tal proposito, mi sembra che l’impiego «laico» del denaro sia stato condizionato da due concezioni specificamente medievali: l’aspirazione alla giustizia, che si ripercuote nella teoria del giusto prezzo, e l’esigenza spirituale della caritas.
Nel corso del Medioevo la Chiesa ha senza dubbio contribuito a riabilitare, a determinate condizioni, i professionisti del denaro favorendo la comparsa di una visione positiva della ricchezza presso la ristretta élite dei cosiddetti preumanisti della fine del XIV e del XV secolo. Se il denaro ha progressivamente cessato di essere maledetto e infernale, per tutto il Medioevo esso è rimasto tuttavia quanto meno sospetto. Mi è sembrato infine necessario precisare, sulla scia di importanti storici, che il capitalismo non è nato nel Medioevo e nemmeno si può considerare quest’epoca precapitalistica: la penuria di metallo pregiato e la frammentazione dei mercati hanno impedito che si creassero le condizioni adatte. Quella «grande rivoluzione» che Paolo Prodi colloca nel Medioevo, a mio parere sbagliando, si verificò soltanto nei secoli XVI e XVII. Nel Medioevo né il denaro né il potere economico sono arrivati a emanciparsi dal sistema globale di valori proprio della religione e della società cristiana.
La creatività del Medioevo è altrove.
Lo sterco del diavolo
Il denaro nel Medioevo
Jacques Le Goff
trad. di P. Galloni
Edizione: 2010
Collana: i Robinson / Letture
Pagine: 236
Prezzo: 18,00 Euro