Un libro in uscita, un altro in cantiere. Barbara Frale ,

storica e paleografa, riapre
gli enigmi della Sindone e dei monaci-guerrieri 


Michele Smargiassi

Persino Paul Claudel sottovalutò la Sindone. Commosso fino alle lacrime dalla «fotografia di Cristo», dalla «presenza reale» di quel Volto emergente dal buio dei secoli e della camera oscura di Giuseppe Enrie, il grande scrittore convertito dettò nel 1935: «Qui non ci sono frasi da decifrare riga per riga, è tutta la Passione svelata in un sol colpo ai nostri occhi». E invece nel sacro Telo, arca inesauribile di segni, c’è anche questo: un testo scritto, da decifrare riga per riga. La scoperta ha più di trent’anni, ma il mistero resiste ancora. Parole non dipinte a mano sull’ordito (achiropite, come l’immagine dell’Uomo massacrato dalle piaghe) ma impresse forse per ricalco, come quando si chiude un quaderno prima che l’inchiostro sia asciutto, come se il sudario fosse venuto a contatto con un foglio scritto di fresco; un documento, ma di cosa? Persino Paul Claudel sottovalutò la Sindone. Commosso fino alle lacrime dalla «fotografia di Cristo», dalla «presenza reale» di quel Volto emergente dal buio dei secoli e della camera oscura di Giuseppe Enrie, il grande scrittore convertito dettò nel 1935: «Qui non ci sono frasi da decifrare riga per riga, è tutta la Passione svelata in un sol colpo ai nostri occhi». E invece nel sacro Telo, arca inesauribile di segni, c’è anche questo: un testo scritto, da decifrare riga per riga. La scoperta ha più di trent’anni, ma il mistero resiste ancora. Parole non dipinte a mano sull’ordito (achiropite, come l’immagine dell’Uomo massacrato dalle piaghe) ma impresse forse per ricalco, come quando si chiude un quaderno prima che l’inchiostro sia asciutto, come se il sudario fosse venuto a contatto con un foglio scritto di fresco; un documento, ma di cosa?

C’è una studiosa, nelle segrete degli Archivi del Vaticano, che ritiene di essere giunta molto vicino a capirlo. Ma Barbara Frale è la prudenza in persona. Giovane storica e paleografa, allieva di Franco Cardini, da otto anni è la decifratrice ufficiale degli immensi archivi lateranensi, dove il rigore è doppio: scientifico e teologico. «È una ricerca che mi travolge di emozioni, e le emozioni non sono buone consigliere». Niente fretta e molto riserbo: il frutto delle sue ricerche, ancora al vaglio di rigorosi riscontri, lo leggeremo per intero solo fra un anno, in un volume che avrà per titolo La Sindone di Gesù Nazareno. Ma già quanto ha gentilmente accettato di anticiparci in queste pagine è in grado di far vibrare le corde più sensibili: sul lino torinese potrebbe essere rimasta impressa la “fotocopia” di un documento straordinario, forse coevo alla Passione, portatore di informazioni che vanno oltre il racconto dei vangeli. Oltre all’impronta-icona del Cristo martoriato, la Sindone sta per consegnarci anche il suo certificato di morte?
La fantasia del lettore già corre. È facile, quando si entra nell’orbita fascinosa della reliquia più impenetrabile della storia cristiana, scivolare oltre il confine che separa la storiografia dalla fiction alla Dan Brown. Forse per questo tutti gli specialisti della Sindone si tengono lontani dalle polemiche scaturite dal redditizio filone letterario religioso-misterico, pieno di quegli scrittori «diabolici» che Umberto Eco mise alla berlina nel Pendolo di Foucault.
Ma così facendo hanno abbandonato alla mercé dell’industria dei best-sellerun territorio dell’immaginario che fa parte da secoli della storia stessa della Sindone, oggetto potentemente mitopoietico, inesauribile cornucopia di visioni, narrazioni, leggende, immagini, apocrife o canoniche, devote o blasfeme che siano. Bene, Barbara Frale ha avuto anche questo coraggio: di misurarsi, da scienziata dei documenti, col terreno insidioso dei misteri suggestivi.
Dal suo futuro lavoro ha stralciato un libro che esce in questi giorni, il cui titolo, I Templari e la Sindone di Cristo, se non uscisse dalle presse di un’editrice serissima come Il Mulino, potrebbe indurre a qualche sospetto. Ma leggendo si scopre che le pergamene a volte raccontano storie più avvincenti dei plot inventati al computer. Per esempio, in questo caso, che l’idolo misterioso dei cavalieri combattenti di Cristo, l’oggetto segretissimo attorno al quale si concentrarono riti di iniziazione, il cui arcano si rivoltò contro gli stessi Templari diventando il capo d’accusa più forte nel processo che distrusse l’ordine, quell’idolo che per i malevoli accusatori era la terrificante immagine del diabolico “Bafometto”, altro non era che la Sindone stessa.

Le scritte che riaprono il caso del “falso medievale”

Barbara Frale

La ricerca attira l’interesse di altri specialisti. Poi nel 1988 alcuni campioni prelevati dalla Sindone sono sottoposti alladatazione con il radiocarbonio, e un tam-tam su tutti i mass media del mondo presenta il Telo come un falso medievale: una sentenza netta che pare inappellabile. La ricerca su quelle misteriose tracce di scrittura, iniziata con tanto entusiasmo, si blocca di colpo. Siano pure molto antiche, nessuno vuole più studiare quelle scritte che ora — come dicono tutti — stanno su un «falso medievale». Nel 1994 alcuni esperti francesi di analisi dei segnali riprendono in mano la questione: sono scienziati,dunque sanno bene quanti limiti può avere una datazione al radiocarbonio. Uno di loro è il professor André Marion, docente presso l’Institut Superieur d’Optique d’Orsay a Parigi. Marion sottopone la Sindone a un software usato per riportare alla luce le antiche scritture oggi non più visibili; proprio sotto l’impronta del volto trova la sequenza in lettere greche HOY, quanto resta del nome IHOY, trascrizione greca dell’originale semitico Yeshua, ovvero “Gesù”. Insieme all’altra parola già vista da Marastoni forma IHOY NAZAPHNO, cioè “Gesù Nazareno”. E poi ancora altri gruppi isolati di segni in greco e latino disposti intorno al volto: questo scritto,composto da varie strisce, formava una specie di cornice. Sono parole frammentarie difficili da capire.
André Marion presenta i risultati della sua ricerca sulla rivista specialistica Optical Engineeringe poi nel 1998 in un libro scritto con la collega Anne-Laure Courage. I due scienziati invitano gli esperti in discipline storico-archeologiche a continuare lo studio per capire quale sia l’esatto significato di quelle parole. Intanto hanno consultato alcuni specialisti che lavorano presso la Sorbona e altri prestigiosi istituti francesi di ricerca. Anche se dato in via informale, il responso è piuttosto chiaro: le scritte sembrano paleocristiane, forse anteriori al Terzo secolo dopo Cristo. 

Dopo circa dieci anni di ricerca, il profilo di quelle parole è oggi molto più netto: il testo con cui la Sindone entrò in contatto non era un libro ma un documento, un documento sulla sepoltura di Gesù Nazareno. Un atto originale,come pensava Marastoni, o forse un antichissimo testo non canonico: ma in questo caso si tratta di qualcosa scritto dai cristiani della prima generazione, quando ancora il greco non era la loro lingua e prima che fossero composti i vangeli (60-90 circa dopo Cristo). Le informazioni contenute in queste scritte non coincidono sempre con le notizie dei vangeli ma piuttosto si compenetrano a vicenda con esse, e insieme completano il resoconto della sepoltura. Danno dettagli secondari, d’importanza minore, che forse gli evangelisti tralasciarono perché non avevano alcun valore per la fede. Per lo storico moderno, invece, hanno un valore enorme. Come ad esempio altre tracce di scrittura in caratteri ebraici trovate nella zona sotto il mento dall’analista Thierry Castex con lo stesso metodo applicato da Marion: si distingue un testo frammentario di cui per ora si legge bene solo una frase centrale, noi abbiamo trovato (oppure perché trovato).Tali parole richiamano con precisione la denuncia con cui, secondoil vangelo di Luca, Gesù fu condotto dai membri del Sinedrio davanti a Ponzio Pilato: Lo abbiamo trovato che sobillava il popolo. La ricerca è ancora in corso, varie cose sono da chiarire e nei prossimi mesi avremo un quadro molto più preciso. Sta di fatto però che secondo il diritto romano nessun processo poteva iniziare senza un documento scritto di denuncia, e se il Sinedrio scriveva è molto probabile che lo facesse in ebraico o in aramaico. Gli autori antichi usano per il vangelo di Luca un verbo greco, istorèo, che indicava gli storici in senso vero e proprio, cioè chi scrive avendo visto i fatti di persona oppure dopo aver consultato dei documenti. E se avessero ragione?


 Tratto da: “La Domenica” di Repubblica
14 giugno 09