Dalla leggenda al best-seller di Franco Cardini
La “Leggenda Templare” comincia presto. Era almeno dalla fine del Dodicesimo secolo, parallelamente con le ripetute sconfitte dei crociati e degli eserciti “franchi” in Terrasanta, che sulle militiae, gli ordini religioso-militari, giravano strane e non sempre edificanti dicerie. Erano troppo orgogliosi e alteri, ma non sempre così intrepidi in battaglia come la loro regola avrebbe richiesto; tenevano un comportamento ambiguo con i mussulmani, e si diceva che i Templari fossero perfino in amicizia con il “Veglio della montagna” e la setta degli “Assassini”; non erano affatto così casti e temperanti come avrebbero dovuto, si mormorava di loro eccessi, di riti tra il magico e l’erotico, di bagordi (“bibere templariter”, si diceva: bere come un Templare). E come spiegare le immense ricchezze, se non col fatto che sapessero fabbricar oro e argento per mezzo d’alchimia? Il fatto è che ormai, specie con la fine del Duecento, la loro funzione era giunta a una svolta. I crociati avevano perduto la Terrasanta e, se l’ordine gemello ed emulo del templare, quello di San Giovanni di Gerusalemme, aveva saputo riciclarsi abilmente come potenza marinara ponendo la sua prestigiosa nuova base nell’isola di Rodi, la Militia Templi non era stata capace di fare altrettanto. Da parecchio tempo, anche nella curia pontificia di Roma, si ventilava l’idea di fondere i due ordini in uno solo, se non addirittura di scioglierli.
Nel continente europeo, l’Ordine aveva sviluppato da tempo una complessa attività economica, sia di tipo fondiario, sia legata al prestito e al trasferimento di danaro. Qualcuno si è stupito del fatto che, in quella fatale notte dell’ottobre del 1307, gli agenti di re Filippo IV di Francia riuscissero ad arrestare tutti i Templari del regno senza un cenno di resistenza da parte loro. Ma tale stupore, del tutto fuori luogo, nasce da un malinteso. I Templari, in terra cristiana, erano sempre disarmati: ed era loro vietato rigorosamente l’uso delle armi contro i correligionari. Per giunta c’era l’uso antico di rimpatriare dalle aree d’azione militare nelle retrovie europee i cavalieri feriti, invalidi e anziani. Le case templari d’Europa somigliavano più a ospizi e a pensionati che a conventi-caserma.
La “passione” dell’Ordine del Tempio durò cinque lunghi anni, dal 1307 al 1312, e si concluse con la disposizione di papa Clemente V che lo scioglieva formalmente, anche per prevenire ed evitare una condanna inquisitoriale per eresia che almeno in Francia sarebbe stata senza dubbio formulata, perché tale era la ferma volontà del sovrano intenzionato a liberarsi dei fratres e a incamerarne i beni. Di recente, Barbara Frale ha scoperto altresì un documento che prova come il Pontefice assolvesse in segreto i Templari da qualunque residuo sospetto d’eresia. Ma il maestro dell’ordine, Giacomo di Molay, che si era confessato colpevole e che colto da un forte scrupolo ritrattò la confessione, fu arso nel 1314 come relapsus, ereticop caduto di nuovo nell’errore, secondo la pratica inquisitoriale che in quel caso non perdonava.
All’indomani dello scioglimento dell’Ordine, l’opinione pubblica della cristianità appariva divisa. Se personaggi come Dante presero posizione in favore dell’innocenza dei Templari, altri – ad esempio Raimondo Lullo e Arnaldo di Villanova – si espressero in senso opposto. Tuttavia, fino alla Riforma, dell’affare del Tempio ci si andò progressivamente disinteressando. La citazione dei Templari come eretici e in qualche modo affini a una setta stregonica, che troviamo nel De occulta philosophia di Cornelius Agrippa di Nettesheim, resta molto sul generico, anche se quei brevi cenni sono stati responsabili dell’idea diffusa che fossero praticanti di magia, o addirittura maestri espertissimi in quell’arte. Ma è significativo che fosse proprio il più grande teorico della politica del Sedicesimo secolo, ch’era anche un fedele servitore della corona di Francia – e gran cacciatore di streghe -, Jean Bodin, a sostenere con pacato rigore la tesi dell’assoluta innocenza dei Templari e della loro condanna dovuta alla volontà regia d’incamerarne terre e beni.
La “rinascita misterica” dell’Ordine del Tempio, insieme con il misterioso ordine dei Rosacroce, è legata alle vicende della cultura ermetica dell’ultimo Rinascimento e all’alba dell’età dei Lumi e coincide anche con la trasformazione delle logge massoniche da sodalizi artigianali o professionistici in gruppi di esoteristi animati da una forte volontà di autonobilitazione cavalleresca incentrata su complessi rituali e su una costante meditazione esegetica relativa alla costruzione simbolica del tempio di Salomone e ai segreti che da allora si sarebbero occultamente tramandati.
Quest’improbabile ma affascinante mitologia ha i suoi principali iniziatori in personaggi come il nobile scozzese cattolico Andrè Michel Ramsey, residente in Francia e a lungo segretario di François Fènelon. Con un suo celebre discorso alla massoneria francese, pubblicato nel 1736, il Ramsey collegava con ingenua e acritica convinzione – ma anche con una grande forza mitopoietica – le origini delle organizzazioni massoniche alle Crociate e ai sodalizi di cavalieri. Frattanto, un preciso rapporto tra antica sapienza cristiana e Ordine templare era stato proposto in Germania, dove era stato coniato il “romanzo” secondo il quale, prima di morire sul rogo nel 1314, il maestro del Tempio aveva confidato il nucleo della sua saggezza ad alcuni seguaci che, superstiti, erano finiti in Scozia dove si erano tramandati quella preziosa eredità. L’autentico iniziatore del templarismo tedesco fu Karl Gotthelfvon Hund, un proprietario terriero sassone che aveva compiuto il tirocinio massonico in Francia e si era convertito al cattolicesimo.
Attraverso una intricata e complessa storia di filiazioni, di scismi, di liti e di reciproche denunzie che giuge a sfiorare anche personaggi come Napoleone, il seme gettato dal Ramsey e dal von Hund produsse un albero rigoglioso, i rami e le fronde del quale coprirono tutta l’Europa sette-novecentesca e continuano a coprirla. Più o meno geniali falsari come Pierre Plantard – l’ex-collaborazionista francese ideatore del “Priorato di Sion”, che ha dato la stura alle favole contemporanee relative a Rennes-le-Chàteau alle quali ha attinto. Di quarta mano ma anche a piene mani, Dan Brown – punteggiano questa storia che è stata riraccontata, ritessuta, scompigliata e ricostruita fino alla noia. Eppure quest’infinita storia noiosa non ha ancora annoiato. Essa continua ad appassionare molti illusi, convinti che per accedere senza fatica all’esclusivo “tiaso”, la confraternita dionisiaca degli happy fews che conoscono i Grandi Segreti dell’universo, basti acquistare uno di quei libri dalla copertina ornata di simboli inquietanti che si vendono nelle edicole delle stazioni ferroviarie.
Da “La Repubblica” del 7/10/2007