Una ricercatrice degli Archivi vaticani e uno storico raccontano chi erano quei dissidenti della cristianità
di Barbara Frale
Il 30 maggio 1203 papa Innocenzo III scriveva all’ arcivescovo di Narbona una lettera rovente, nella quale gli diceva senza mezzi termini che il suo stile di vita lo rendeva maledetto da Dio. L’ alto prelato, titolare di una fra le arcidiocesi più ricche e vaste di Francia, aveva abbandonato del tutto il mestiere del prete per ritirarsia vivere nella splendida abbazia di Montearagón, dove (stando a un’ allusione neppure troppo velata dello stesso Papa) abitava con la vedova di suo fratello, e la coppia aveva anche avuto dei figli. Tutto questo in faccia alla gente, senza preoccuparsi affatto dello scandalo. In fondo, però, lo scandalo non era quello che oggi potremmo immaginare: gran parte dell’ alto clero a quel tempo viveva così, eccettuato un pugno di buoni vescovi e di santi abati che come mosche bianche si ostinavano a tener fede ai loro voti. Il risultato era quello che Innocenzo III lamentava: le chiese erano deserte, la gente si disinteressava ai Vangelie alla religione in generale. Nel sud della Francia si era diffusa una vera Chiesa autonoma, organizzata in diocesi sue, la quale si ispirava al credo di un’ antica setta cristiana del II secolo, lo gnosticismo (dal greco gnòsis, conoscenza).
Questa versione alternativa del cristianesimo, diversa da quella di Pietro e dei Vangeli, era sopravvissuta in Oriente e poi verso il secolo X si era diffusa anche in Europa: si chiamavano fra loro «catari», dal greco katharòs, puro. I catari, come gli antichi gnostici, credevano che Gesù non fosse mai stato un vero uomo di carne e di sangue, bensì un angelo, una creatura spirituale venuta sulla Terra per insegnare agli uomini come trovare la via della salvezza; il mondo e la carne degli uomini erano in realtà la creazione di un dio malvagio che aveva voluto imprigionare le anime dentro un pesante fardello di materia pieno di vizi e di peccati, il corpo. Cristo, messaggero di Dio, non poteva avere un corpo reale perché era privo di peccato, perciò secondo i catari non aveva mai sofferto la Passione né era mai morto. I catari si raccoglievano intorno ad un gruppo di asceti (detti «perfetti») i quali avevano indubbiamente virtù eroiche: vivevano secondo l’ideale della povertà evangelica, praticavano la castità assoluta e lunghi digiuni per mortificare la carne, si dedicavano completamente alla predicazione, all’ insegnamento, a consigliare spiritualmente i fedeli.
Quanti volevano dedicare la loro vita al servizio di Dio prendevano dei voti rigidissimi che si attuavano nel consolamentum, l’unico sacramento da loro riconosciuto. I catari infatti non praticavano il battesimo, la comunione né gli altri sacramenti, compreso il matrimonio: poiché la carne era vista come ricettacolo di tutti i mali, procreare figli era considerata una cosa sbagliata come del resto avere rapporti sessuali. Il matrimonio, sede di rapporti sessuali stabili, era proibito. Questo concetto creava non pochi problemi a livello sociale: mogli e mariti lasciavano la famiglia per entrare nelle comunità dei catari. Inoltre (poiché la castità assoluta era un impegno che solo pochissimi sapevano mantenere) nella vita quotidiana la gente finiva per vivere in legami provvisori e non ufficiali, che potevano rompersi in qualunque momento per dare luogo a coppie diverse. Piuttosto che sposarsi, si tollerava largamente il concubinato e anche il libero amore. Un altro grosso problema che il catarismo creava a livello sociale era il divieto assoluto di fare giuramenti: nella società dei secoli XII-XIII l’ intero sistema dei poteri è basato sul giuramento di fedeltà (del vescovo al Papa, del barone al sovrano, del contadino al barone), che impegna l’ onore personale e costituisce un vincolo assoluto. Rifiutarsi di giurare fedeltà significava essere ribelli. E infatti il credo dei catari venne ampiamente strumentalizzato da precise ambizioni di autonomia politica.
Molti grandi feudatari del sud della Francia approfittarono del catarismo per sganciarsi dall’ obbedienza a re Filippo II Augusto; i vescovi per liberarsi dall’ autorità del Papa e diventare autonomi; il basso clero seguì il suo vescovo, e i capi dei catari poterono predicare apertamente nelle chiese cattoliche purché pagassero profumatamente il parroco. La libertà dai vincoli feudali fu anche molto utile per cassare tanti testamenti e disporre a piacimento dei beni usando la scusa del catarismo, come pure era possibile cambiare facilmente la moglie vecchia con una nuova aderendo a questa Chiesa alternativa; e poi, stanchi anche di questa, cambiare un’ altra volta. Il vero, grande problema che portò ad eventi orribili come il massacro di Béziers, il 22 luglio di ottocento anni fa, nel 1209, era proprio il clima di anarchia che si venne a creare sotto il vessillo del cambiamento religioso. C’ era un intero pezzo della Francia, il sud, del tutto sfuggito al controllo delle istituzioni.
I vescovi che erano passati al catarismo avevano cambiato dottrina ma senza rinunciare alle terre, al potere, ai cavalli e alle tantissime ricche prebende del loro vecchio status di vescovi cattolici; il nuovo credo li sollevava delle lunghe liturgie previste dal cattolicesimo, dall’ onere di visitare la diocesi, di fare digiuni, di praticare la cura delle animee così via. E se si mettevano a convivere con una donna (fosse pure con la propria cognata) e ne avevano dei figli, come era accaduto all’ arcivescovo di Narbona, i leader religiosi dei catari lo vedevano come una specie di male minore. Il lettore moderno può forse chiedersi perché un uomo forte e determinato come Innocenzo III non usò quell’ arma che nel Medioevo aveva un tremendo potere sia spirituale che temporale: la scomunica. È una domanda lecita, però ci vuole uno storico abituato a leggere i documenti dei papi per vedere quanti e quali furono i pontefici che dedicarono tutti i loro giorni per eliminare la corruzione dal corpo della Chiesa, finendo poi con lo spezzarsi dinanzi a una selva inestricabile di resistenze opposte a tutti i livelli, dal potente arcivescovo fino all’ ultimo usciere della curia. In realtà la spiritualità dei catari (i veri catari, gli asceti mossi solo da esigenze religiose) possedeva un volto affascinante, l’ idea di vivere il cristianesimo praticando uno stile di vita semplice, austero, basato sui precetti del Vangelo. San Domenico di Guzman e anche San Francesco d’Assisi seppero cogliere questo aspetto luminoso, importantissimo per la Chiesa del loro tempo, e scelsero di inaugurare un nuovo tipo di vita monastica improntato a questo ideale di semplicità e di povertà. Ma il catarismo aveva anche dei lati oscuri che le fonti giunte fino a noi ci lasciano vedere. Il fatto di negare l’ umanità di Cristo e considerare il corpo come un male assoluto spingeva i cataria a favorire i suicidi, e accadeva spesso che i malati si lasciassero morire di fame; a volte, anche se non era la norma, alcuni che rinunciavano a suicidarsi venivano uccisi dagli altri i quali pensavano così di salvarli dalla perdizione. Poteva accadere che alcuni bambini di famiglie cattoliche, considerati in grado di diventare un giorno grandi santi catari, venissero rapiti e sottratti per sempre ai genitori. La carità verso i malati e i poveri, primo dovere del cristiano, non era praticata. Un altro aspetto inquietante è l’ atteggiamento di disgusto e disprezzo che i catari provavano alla vista di una donna incinta, doppiamente colpevole di aver fornicato e di aver così perpetuato in un altro essere il male insanabile della carne. Proprio l’opposto di quanto affermeràGiovanni Paolo II, secondo il quale l’intera società civile dovrebbe sentirsi in debito dinanzi a una donna che sta per mettere al mondo un figlio.
Fu l’Italia il loro ultimo rifugio eppure se ne è perso il ricordo
di Alessandro Barbero
Nel Medioevo i catari erano diffusi in Italia quanto in Francia; eppure nel nostro Paese la loro memoria è quasi scomparsa, al contrario di quello che succede nel Mezzogiorno francese. Il fatto è che laggiù il catarismo venne sradicato da papa Innocenzo III e dalla monarchia capetingia con una sanguinosa crociata, che distrusse l’ autonomia politica meridionale e provocò il declino della civiltà occitana, mentre in Italia non accadde niente del genere. Le grandi città della Pianura padana erano alleate preziose del Papa nella sua lotta mortale contro l’ imperatore Federico II, sicché la repressione del catarismo passava in secondo piano nell’ agenda politica. La luce sinistra dei roghi di Béziers o diMontségur giustifica l’ appropriazione della memoria catara da parte del Languedoc: là proliferano centri di studi catari, convegni e rievocazioni storiche, che nessuno si sognerebbe di impiantare a Milano o a Verona. Eppure in Italia gli eretici erano così numerosi da organizzarsi addirittura in una Chiesa clandestina, con propri vescovi di cui conosciamo i nomi e la cronologia. La Chiesa più importante, quella milanese, contava secondo i calcoli degli inquisitori duecenteschi non meno di 1.500 «perfetti», gli iniziati che costituivano la ristretta ossatura gerarchica e dottrinale del movimento. In Italia si rifugiarono vescovi e perfetti in fuga dalla Francia, e negli anni Settanta del Duecento sedeva in permanenza a Sirmione un sinodo di vescovi catari, italiani e occitani (la sede, notiamolo, non venne scelta per le sue amenità turistiche, ma perché gli iniziati non mangiavano carne e potevano nutrirsi soltanto di pesce). L’ apparente impunità con cui i catari si muovevano in Italia ebbe fine solo quando il trionfo del guelfismo parve certo, e l’ Inquisizione ebbe il permesso di muoversi senza troppi intralci politici. Si registrò allora l’episodio più spettacolare e terrificante della repressione in Italia, con la distruzione della colonia di Sirmione. Nel 1276 una retata organizzata dagli inquisitori veronesi portò all’ arresto di ben 166 catari, che vennero poi bruciati tutti insieme nell’ Arena di Verona il 13 febbraio1278. Alcuni scampati si riunirono sul lago di Como, protetti da una straordinaria omertà: al punto che dalla Francia molti semplici credenti partivano, magari col pretesto di andare in pellegrinaggio a Roma, ma in realtà per andare a Como a «vedere gli eretici», senza che gli inquisitori per molto tempo ne sapessero nulla. In seguito le notizie sul movimento, decapitato e costretto alla totale clandestinità, si fanno sempre più scarse, anche se gruppi isolati continuarono a resistere per molto tempo: l’ ultimo è segnalato a Chieri presso Torino, dove nel 1412 vennero dissepolti e bruciati dall’ Inquisizione i cadaveri di quindici catari condannati post mortem, fra cui qualche antenato di Camillo Benso di Cavour. Il fatto che i domenicani non avessero trovato più nessun eretico vivo da bruciare, ma soltantoi morti, testimonia che il catarismo italiano, a differenza del movimento valdese, non aveva trovato le risorse per sopravvivere alla persecuzione.
Tratto da: “la Domenica di Repubblica”
Domenica 19 luglio 09