In questo libro si parla di artisti che vissero ed operarono nel corso del millennio che va dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente agli inizi del Quattrocento, quando in Toscana l’invenzione della prospettiva lineare e la nascita di una storiografia artistica, nelle Fiandre l’imporsi di una pittura capace di offrire nuovi modi di rappresentare il reale segnarono, ai nostri occhi, una cesura.
Si trovano tra loro figure grandissime, i cui nomi tuttavia non sono sulla bocca di tutti. Se quelli diGiotto o di Giovanni Pisano, di Nicolas de Verdun o di Claus Sluter significano molto per noi, quelli diEadfrith, di Tuotilo, di Gerlacus, pure autori di opere memorabili, sono pressoché ignoti.
Ma non è questo il solo problema che incontriamo. È legittimo infatti parlare di artisti per un tempo, come il Medioevo, in cui questo termine era ignoto ai contemporanei o, quando raramente veniva usato, lo era per indicare chi praticava un’arte liberale che non coinvolgesse un lavoro manuale? O, in assenza di questo termine e del concetto stesso di artista quale noi lo concepiamo, dobbiamo usare il termine di artifex, artefice, che era quello con cui erano designati in genere tutti gli artigiani? Ai nostri occhi artisti e artigiani appartengono a categorie ben distinte, ma ciò mostra solo la distanza che separa la nostra concezione dell’arte e dell’attività artistica da quella che si aveva nel Medioevo. A giudicare dalle opere che ci hanno lasciato questi artifices, la domanda se essi fossero degli «artisti» non dovrebbe neanche essere posta, ma possiamo parlarne nello stesso modo e con gli stessi termini che usiamo per gli artisti moderni o contemporanei? Come caratterizzare l’orafo, il pittore, lo scultore o l’architetto medievale, e in che misura è possibile farlo? Pensavano di appartenere a un gruppo, omogeneo malgrado le vistose differenze, distinto da quello dei semplici artigiani, e i cui membri si riconoscevano una comune appartenenza, con analoghi scopi, analoghi obbiettivi?
Difficile dare una risposta a queste domande.
Malgrado questo, o piuttosto proprio per questo, aspetti e problemi degli artisti medievali sono presentati in questo libro da profili che compongono una galleria di personaggi molto diversi tra loro, in un rapporto mutevole con le società in cui operavano. Si è tentato di radunare e avvicinare una serie di casi che vanno da quello dell’evangelista Luca, divenuto patrono dei pittori anche se non dipinse alcunché, a quello che chiude la serie, Lorenzo Ghiberti scultore, orafo supremo e fondatore della storia dell’arte. Casi molto distanti nei tempi, nello spazio (dalle isole britanniche al Vicino Oriente, dalla Francia all’Italia, dalla Spagna alla Germania, alla Russia), nelle situazioni (dal monastero alla corte, alla città), nelle tecniche utilizzate.
Diversità e lunga durata rendono necessaria una qualche forma di periodizzazione che in genere gli storici dell’arte praticano legando monumenti e artisti al nome di una dinastia, come si fa quando si parla di arte carolingia o di arte ottoniana, di un tempo («stile 1200») oppure di un sistema formale (romanico, gotico). Deliberatamente non abbiamo voluto attenerci a queste classificazioni, tentando una storia più sociale che stilistica e riconoscendo piuttosto un fondamentale discrimine – che ha comportato un mutamento nella vita e nell’immagine dell’artista – nella forte ripresa della vita urbana a partire dalla fine dell’XI secolo. Avviandoci poi verso la fine di questa età, il XIV e l’incipiente XV secolo si presentano con una fisionomia particolare che li caratterizza nettamente rispetto al passato e che vede trasformarsi l’immagine, la situazione e anche la coscienza dell’artista in guise diverse, ma in qualche modo convergenti, nelle grandi corti come nelle città mercantili. Agli artisti dell’autunno del Medioevo operosi a Pisa, a Firenze e a Siena come a Parigi, Avignone, Praga o Digione è dedicata l’ultima parte di questo libro.