Parlando della Storia dell’Ordine Francescano è necessario soffermarsi sulle diversità dell’abito attuale delle varie “famiglie”, perché essendo la prima cosa che balza all’occhio di chi accosta i Francescani, suscita, insieme, imbarazzo e curiosità, provocando interrogativi a ripetizione.
In Assisi, dove gli abiti storici e canonici sono “di casa”, ma spesso messi a confronto tra loro e, oggi, anche con altri, sia pure con qualche variante, adottati per scelta personale e provvisoria anche da istituzioni nuove, con ambizione di essere francescani o “più” francescani, quello dell’abito è un problema che merita subito un chiarimemo.
LE FAMIGLIE FRANCESCANE
Come evidente, nessuna delle attuali “famiglie francescane”, per colore e per forma indossa l’abito di Francesco e dei suoi primi compagni, che fu a croce e di lana non colorata, ma intessuta a fili alternati bianchi e neri, con il risultato di un colore grigio o cenerino, che rimase prescritto per tutti, sino a circa la metà del sec. XVIII.
Anzi, data la difficolta di provvedere in quantità sufficiente e continua stoffa di tal colore e tessitura, ad un certo momento, per gli Osservanti e i Cappuccini fu ordinato che ogni Provincia erigesse un proprio “lanificio”, allo scopo di conseguire ogni possibile uniformità.
I FRATI MINORI CONVENTUALI
Fra i Minori Conventuali, nella seconda metà del Settecento, è documentata una certa tendenza al nero, benché le loro “Costituzioni Urbane”, anche nell’edizione del 1803 impongano il colore cenerino.
Tale prescrizione scomparirà nella successiva edizione del 1823, anche perché la “soppressione napoleonica”, avendo estinto le corporazioni religiose, costringendo i suoi membri ad assumere la talare nera del clero secolare, aveva generalizzato tale colore, che i Conventuali mantennero anche quando le mutate condizioni politiche avrebbero consentito di riprendere il colore tradizionale del loro abito francescano.
Oggi, il cenerino è generalmente adottato dai missionari Conventuali, fra i quali non manca una certa simpatia per un ritorno a quei colore.
I FRATI MINORI OSSERVANTI
Per i Frati Minori Osservanti il passaggio dal cenerino al marrone, iniziato in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, verrà prescritto per l’intera “famiglia” con le costituzioni elaborate nel capitolo di Assisi del 1895, allorché Leone XIII aveva riunito nei Frati Minori le diverse famiglie dell’Osservanza («Il colore artificiale dei vestimenti esterni somigli al color della lana naturalmente nericcia, tendente al rosso, colore che in italiano si chiama marrone, e in francese marron»).
I FRATI MINORI CAPPUCCINI
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Per i Frati Minori Cappuccini, che in qualche modo avevano seguito l’evoluzione verificatasi fra gli Osservanti, anche per ovviare a qualche difformità, nel 1912 fu stabilito che il colore dell’abito dovesse essere castagno, praticamente ancora simile a quello adottato dai Frati Minori, ma temperato da una lieve sfumatura verso il gialliccio («… colorem debere esse castaneum: italice castagno, gallice marron, anglice chestnut, germanice kastanienbraun, hyspanice castano»).
Quanto alla forma, va riconosciuto ai Frati Minori Cappuccini il merito di indossare, oggi, la tonaca più vicina all’abito di S. Francesco.
IL SAIO DI FRANCESCO D’ASSISI
Nella Regola non bollata (1221) Francesco prescrive:
«E tutti i frati portino vesti umili e sia loro concesso di rattoppare con stoffa di sacco e di altre con la benedizione di Dio, poiché dice il Signore nel Vangelo: “Quelli che indossano abiti preziosi e vivono in mezzo alle delizie e quelli che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re”.
E anche se sono tacciati da ipocriti, tuttavia non cessino di fare il bene; né cerchino vesti preziose in questo mondo perché possano avere una veste nel regno dei cieli» (Regola non bollata, cap. II).
Nella Leggenda perugina (n. 110) si legge:
«La sorella allodola ha il cappuccio come i religiosi.
Ed è un umile uccello che va volentieri per le vie in cerca di qualche chicco (…).
E volando loda il Signore proprio come i buoni religiosi che, avendo in spregio le cose mondane, vivono già in cielo.
La veste dell’allodola, il suo piumaggio cioè, è color terra. Così essa dà esempio ai religiosi a non cercare abiti eleganti e fini, ma di tinta smorta, come la terra».
Il saio cinerino di Francesco (lo si può ammirare nella “Sala delle Reliquie”, presso la Basilica di S. Francesco in Assisi), rattoppato sino all’inverosimile, ricorda la dura scelta fatta dal Santo.
Esso è simbolo della doppia scelta evangelica della povertà materiale e della minorità sociale.
La povertà materiale avvantaggiava l’affidamento totale a Dio, la minorità sociale realizzava lo spirito di solidarietà amorosa promotiva degli ultimi della società.
Francesco amava la forma di croce del proprio saio: indossandolo si sentiva entrare nel mistero del Dio Crocifisso, rivelazione suprema del Dio-Amore del Vangelo cristiano.
Riferendosi all’abbigliamento del Santo assisiate, il quattrocentesco minorita padre Giacomo Oddi riferisce:
«(…) lo vestimento vile et povero che (S. Francesco) usò dal principio de la sua conversione per fine alla fine.
Solamente (avea) la thonica habituale et la corda et le mutande; et sempre se gloriava nella penuria de le cose che non avea.
Quale fo l’abito che pigliò santo Francesco, la Ligenda antica lo dechiara; inperò che dice, como santo Francesco fo amaestrato da Christo, che fosse conforme ad lictera, a lictera, alla croce.
Unde esso santo Francesco ansengnò et dechiarò la mesura circa a la forma de la longheza et de la largheza et qualità de l’abito et quanto alla viltà et colore a frate Bernardo, a frate Egidio et frate Masseo et a l’altri suoi conpagni, sì como riferivano puoi alli frati, et così per opere ne rendevano testimonianza.
Quanto a la materia dicevano che voleva essere de panno vile et grosso; de colore de cenere, o vero palido, o vero de colore de terra, acciò che represente la mortificatione del corpo del nostro Signore Yhesu Christo; et de tanta grossezza che possa tenere alquanto caldo; et che possa al frate sano bastare una tonica dentro et de fore repezata, chi vole, como dice la regola, et de tanta longezza che, essendo cinta senza alcuna piegha sopra la corda, non tocche la terra.
La longezza de le maniche, comunemente, per fine a la ponta de li deti, et la largezza d’esse maniche sieno per tale modo, che le mane possano entrare et uscire liberamente. Lo capuccio quadro et de tanta longheza, che copra la faccia.
Et così represente la croce: et la sua vilità et desprezzo prediche ad omne humana gloria, et demostre lo frate Menore crocefixo et morto al mondo per amore del nostro Signore Yhesu Christo» (G. Oddi, La Franceschina, vol. I, p. 183).