“Una scoperta meravigliosa, un’altra perla che arricchisce lo splendore di questo monumento”, così il vicesindaco Nilo Arcuri ha commentato il ritrovamento di reperti di epoca romana, all’interno della chiesa di San Bevignate, dove sono in corso i lavori di restauro e riuso del complesso monumentale.

I lavori di scavo hanno riportato alla luce alcune strutture di epoca romana pertinenti ad un impianto artigianale. All’interno dell’area, comprendente quasi tutta la superficie della navata della chiesa (circa 150 mq), sono riemersi i resti di cinque vasche affiancate, diverse per dimensioni e tipologia.

 
Due sono collegate tra di loro e presentano una pavimentazione a mattoncini disposti a spina di pesce, con un cordolo convesso in cocciopesto nel punto di unione del fondo con la parete, tipico delle conserve d’acqua; le altre sono invece pavimentate interamente in cocciopesto con robuste preparazione di ciottoli legati con malta.
 In particolare sul fondo di una di esse è presente di una concavità circolare, che doveva fungere da bacino di raccolta o, più probabilmente da pigiatoio. Lo scavo ha restituito anche una complessa rete di canalizzazione in muratura, connesse con la lavorazione che avveniva nelle vasche.
Il deflusso che veniva nelle acque reflue avveniva tramite un collettore principale che scaricava a valle, alimentato da canalette innestate su di esso per mezzo di imboccature architravate, ispezionate attraverso pozzetti del tutto simili a quello dei moderni impianti fognari. Durante lo svuotamento di una delle canalette è stata recuperata una moneta di bronzo databile dalla fine del III e l’inizio del II secolo a.C. e una certa quantità di frammenti di terra sigillata italica, un tipo di vasellame fine da mensa prodotto dalla metà del I sec. a.C. e presente sulle mense fino a tutto il I sec. d.C. e gli inizi del II sec. d.C. Il pessimo stato di conservazione delle strutture residue, ridotte ai piani pavimentali o al piede degli alzati e la possibilità di esaminare soltanto una parte dell’intero complesso artigianale, hanno limitato al momento la corretta comprensione del tipo di attività svolta all’interno dell’impianto artigianale. Tuttavia, l’abbondante uso del cocciopesto, impiegato per rivestire a rendere impermeabili pavimenti e pareti, la presenza di vasche collegate con canali di scolo e il rinvenimento di residui pigmenti colorati, concorrono all’identificazione del complesso con la fullonica , cioè una lavanderia-tintoria dove si svolgevano le varie fasi della lavorazione dei tessuti.
Due i riferimenti cronologici individuati: il primo si riferisce ad un lacerto di mosaico geometrico con motivo a clessidre, databile intorno alla seconda metà del I sec. a.C. , pertinente a una donus che venne definitivamente cancellate dalle strutture della fullonica; il secondo è deducibile dai frammenti ceramici rinvenuti nello strato che sigillava le strutture, che da un preliminare esame sembrano collocabili nel V-VI sec. d.C.