Medievale sarà lei
Tornare al “tempo di mezzo” è lo spauracchio preferito del dibattito pubblico. Un libro ci spiega il perchè.
di Alessandro Barbero
In una vignetta di Altan risalente all’epoca di Mani Pulite, il cittadino intima il politico: ” Adesso dovete restituire il rubato”. Il politico, levando le mani al cielo: “Ma questa è una tortura medievale!”. Altan si beffava di un episodio che nel 1993 fece molto chiasso mediatico, l’arresto del democristiano Enzo Carra, accusato di falsa testimonianza e portato in tribunale in manette davanti a fotografi e telecamere. Allora si sprecò l’accusa a Di Pietro di voler far ripiombare l’Italia nel medioevo; e poco importa che Carra fosse poi puntualmente condannato in primo grado, in appello e in cassazione. Ma nel dibattito pubblico italiano lo spauracchio del Medioevo è sempre pronto a fare capolino, dalle direzioni più inaspettate: nel giugno 2010 l’allora ministro Giulio Tremonti spiegava che vincoli e regole ammazzano l’economia del Bel Paese inchiodandola a un “nuovo medioevo”. Il Sole 24 ore, pubblicando l’intervista intitolava fiducioso: “Tremonti spiega come uscire dal medioevo”. Altri sodali si accodarono, ansiosi di proclamare la modernità del sistema di potere politico-finanziario vigente in Italia: ancora pochi mesi fa il presidente di Mediolanum, anche nota come la banca di Berlusconi, annunciava una campagna pubblicitaria al grido “O Mediolanum o Medioevo”.
Ma aggraparsi al Medioevo per fini polemici non è un vizio solo italiano, come spiega Tommaso di Carpegna Falconieri, che da specialista di storia medievale ha finito per incuriosirsi di questo bizzarro fenomeno e gli ha dedicato il libro Medioevo militante. Se nel mondo mussulmano risuonano i richiami al jihad contro i “nuovi crociati” che occupano l’Afghanistan e l’Iraq, per i neocon americani “new medievalists” sono i terroristi, in quanto “tribali, sottosviluppati e fanatici”: tutte caratteristiche, evidentemente, della gente che ha costruito Notre-Dame a Parigi e scritto la Divina Commedia. Come categoria analitica, questa dei “new medievalists” serve a poco, e c’è da augurarsi che la CIA ne adoperi di più sofisticate: tanto tribale e sottosviluppato non doveva poi essere l’ingegner Mohamed Atta, leader del gruppo dell’ 11 settembre, laureato in architettura al Cairo e in pianificazione edilizia ad Amburgo. E’ vero che nella sua tesi di laurea amburghese, dedicato allo sviluppo urbano della grande metropoli siriana di Aleppo, ne criticava i grattacieli, accusandoli di aver rovinato l’antico tessuto edilizio: con i grattacieli, evidentemente, Atta aveva già allora un problema. Ma l’accusa ai terroristi di appartenere al Medioeva serve in realtà a ben altro, come sottolina Tommaso di Carpegna. Il punto è che se gli avversari sono medievali, possono essere trattati in modo medievale: non godono cioè dei diritti internazionalmente riconosciuti ai prigionieri di guerra e in genere ai cittadini degli stati sovrani. Con loro si è liberi di go medieval, per riprendere una celebre battuta di Pulp fiction (per chi non ricordasse: è quando il gangster Marsellus, appena liberato da Butch, si prepara a vendicarsi del suo sadico stupratore “con un paio di pinze e una fiamma ossidrica”). Il Medioevo, insomma, giustifica Guantanamo. E pazienza se un pugno di professori universitari americani, abituati a chiamare se stessi “medievalists” in quanto studiosi del Medioevo, protestano per il dilagare di questa terminologia che li equipara a Osama al-Zakawi.
Ma prospera, beninteso, anche il vizio opposto, e cioè la rivendicazione di un’appartenenza medievale come orgogliosa bandiera per sè, piuttosto che come accusa per gli avversari. C’è stato un tempo in cui proprio gli equivalenti dei neocon si vantavano d’essere, loro sì, “medievalisti”: come padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica a Milano, nonchè celebratore del fascismo operoso e civilizzatore, e denunciatore degli “ebrei che infestano e ammorbano l’Italia”. Almeno lui era coerente, quando nell’articolo iaugurale della nuova rivista Vita e Pensiero dichiarava senza remore, in contrasto all’odiato Modernismo: “Ecco il nostro programma! Noi siamo medioevalisti”.
Ai tempi nostri, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Perfino lo stragista norvegese Andres Breivik aveva un suo sito in cui si autonominava “commendatore dei Cavalieri Templari d’Europa”, e uno pseudomino che suonava “Sigurd il Crociato”, mettendo insieme, chè tanto è tutt’uno, il mondo delle saghe nordiche e quello dei cavalieri. La Lega, com’è noto, è incerta se richiamarsi ai Celti che abitavano la pianura padana in età preromana o ai milanesi del XII secolo che sfidarono il Barbarossa; tutt’uno, anche qui, come se il Medioevo del senso comune avesse la capacità di mangiarsi le altre epoche. Volendo, poi, il richiamo al gran padre Medioevo serve benissimo per coprire le scorciatoie della modernità; e questa è forse la mistificazione più insidiosa. Chiudendo il libro di Tommaso di Carpegna, m’è tornata in mente la curiosa sensazione provata l’ultima volta che ho varcato la frontiera della Repubblica di San Marino, che rivendica orgogliosamente una tradizione di libertà risalente al Medioevo. Al posto di confine con l’oppressa Italia un immenso cartello accoglie i visitatori: “Benvenuti nell’antica terra della libertà”. Ma il panorama che si scorge al di là del cartello è quello di un’interrotta colata di modernissimo cemento, prodotto di un’impunita speculazione edilizia: e allora diventa fin troppo trasparente a quale libertà si riferiscano le autorità del Titano.
Tommaso di Carpegna Falconieri
Medioevo militante. La politica di oggi alle prese con barbari e crociati.
Einaudi, pagg. 343, euro 19,00
tratto da: il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2011