Da La Stampa.it
Di Raffaello Masci
Sveglia all’alba, si lava con l’acqua piovana. «Ma non ha senso rifiutare la modernità»
Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase quaranta giorni». Così dice il Vangelo di Marco (1,12), e questa suggestione del deserto, come luogo del nulla, del silenzio, della contemplazione, in una parola dell’eremitismo, riguarda oggi in Italia cerca 300 persone secondo un’indagine del «Messaggero di Sant’Antonio». Isacco Turina, che insegna sociologia del processi culturali nell’Università di Bologna, ha appena pubblicato una ricerca scientifica in proposito e stima gli eremiti italiani in non più di 150. Quale che sia il dato esatto, questo fenomeno scomparso in Europa all’inizio dell’Ottocento, trent’anni fa si è riaffacciato alla ribalta della storia e oggi è in continua crescita.
Frate Bernardino Greco è uno dei 150 (o 300?) eremiti italiani. Per raggiungerlo bisogna andare nella frazione di Portaria di Acquasparta, provincia di Terni, e risalire per un’ora un sentiero in mezzo al bosco. La «Romita» in cui vive, è un ex convento abbandonato nel 1867. Bernardino aveva 16 anni quando prese l’abito di San Francesco, a 52 anni, nel 1991, ha chiesto ai suoi superiori di venire quassù, a 800 metri di altezza, in mezzo alle querce e ai ruderi, a vivere quella parte della regola francescana dedicata alla vita eremitica. E’ stato manovale e carpentiere, ma anche monaco, agricoltore, asceta. Chi superava la fatica di venirlo a trovare veniva a sua volta messo a lavorare, finché la Romita non fu ricostruita: due piccoli chiostri, una chiesetta, una cappella minuscola, un pozzo, il riparo per gli animali. Con lui, in questi giorni c’è un giovane padre di tre figli, Alberto, che una volta l’anno viene a pregare e a ritemprarsi. E c’è Silvia, una ragazza di 22 anni «in ascolto» – così dice – cioè in attesa di capire quale sia il suo cammino.
All’eremo la giornata comincia alle sei. Se ci sono ospiti, Bernardino li sveglia con il suono di uno strumento: chitarra, lira, salterio. Non c’è acqua corrente. Ci si lava con quella piovana, fredda e raccolta nelle cisterne. La preghiera delle lodi è alle 6,30. D’inverno è ancora notte. La colazione viene consumata nell’unica stanza riscaldata con una stufa a legna: pane, marmellata, a volte un uovo, tutto prodotto lì. Il lavoro comincia subito dopo: si coltiva la terra, si raccoglie l’acqua, si va in cerca della legna. E – soprattutto – si accudiscono gli animali: «Questo è il loro paradiso – dice il frate – sono rispettati, amati. Vivono con me e con la piccola comunità che qui si raccoglie». Cinque pastori maremmani (con qualche parente spinone) seguono Bernardino passo passo, il cane «Pecorello» (che stazza sui settanta chili) si accuccia vicino all’altare quando lui celebra, il cane Valentino gli appoggia una zampa addosso quando legge o prega. Ma ci sono anche capre, oche, tortore, galline e un asino, senza dire dei lupi che ogni tanto occhieggiano nel bosco (e sono stati fotografati). «Chiunque è in cerca di una sua dimensione religiosa, ma anche solo di una ragione di vita, spesso viene qui, e io propongo a tutti la stessa vita: il lavoro, la preghiera, una vita essenziale».
Un giovane informatico tedesco, per esempio, è stato lì quattro anni: ha studiato, pregato, zappato la terra, ha dormito, come tutti, in una cella di tre metri per due con solo un letto e una sedia, senza luce, senza tv, senza cellulare, senza niente. Poi quando era pronto è tornato nel mondo, e si è sposato.
A mezzogiorno l’eremita recita l’ora media. Poi pranza: verdure, un po’ di formaggio, il pane fatto in casa, mai dolci, mai alcol, qualche volta l’anno un po’ di carne. Il pomeriggio è il tempo dello spirito. D’inverno Bernardino legge, studia, e scrive. Un pannello fotovoltaico sul tetto produce una quantità di elettricità sufficiente appena a caricare la batteria di un telefono («ho ormai un’età e i miei superiori non vogliono che stia del tutto isolato») e di un computer: «Non ha senso rifiutare la modernità – spiega – Basta solo usarla per ciò che serve, senza ulteriori indulgenze».
Alle 19 si recita il vespro. Alle 20 si cena. Quando ci sono ospiti si conversa un po’, «ma durante i mesi invernali, quando sono solo – dice Bernardino – metto gli animali al riparo, accendo una candela e vado a letto».