Un volo fotografico di Filemazio sui Pirenei dà lo spunto al nostro collaboratore per qualche considerazione sospesa fra architettura militare ed eresia, sul filo che divide il mito dalla storia…
I castelli che ci proponiamo di illustrare offrono un aspetto sia d’impianto che d’ambiente non raro nel sud della Francia, particolarmente nelle regioni che trovano il loro confine politico lungo la catena dei monti Pirenei.
Il loro interesse, soprattutto storico, risiede nel fatto che essi offrirono riparo ai fuggiaschi Albigesi, cioè agli aderenti all’eresia càtara (dal greco catharòs, vale a dire «puro») che furono duramente perseguitati fino a verso la metà del XIII secolo. Forse non è superfluo accennare brevemente in che cosa consistesse tale eresia, iniziando col dire che il nome di Albigesi fu dato agli affiliati ad essa perché Albi era la città dove la setta era più rappresentata, ed anche perché stava in posizione baricentrica rispetto all’estensione di tale credenza, che arrivava sino al Rodano ed oltre.
L’origine della dottrina
L’origine della dottrina risale ad un prete proveniente dal villaggio bulgaro di Bogomillo (e perciò i càtari-Albigesi furono chiamati anche Bogomili), il quale riprese l’antica fede dualistica gnostico-manichea che vedeva il mondo soggiacere a due opposti principi: il bene ed il male. Il bene era collocato nelle sfere celesti, attraverso una complessa gerarchia di spiriti benevoli, mentre il mondo veniva ravvisato come un immondezzaio dove imperava il male; per tale motivo essi si ispiravano ad una linea di condotta severamente ascetica: era proibito il matrimonio e l’attività sessuale, era prescritto di imitare la vita dei primi Apostoli (Pietro, Giovanni, Matteo, Marco, ecc.) i quali – come è ben noto – praticavano la comunione dei beni e l’egualitarismo sociale; si imponeva, poi, l’astensione da certi cibi. Dopo il concilio di S. Felix di Caraman (1167) trionfò la teoria pauperistica di Nicola di Bisanzio che trovò ulteriori espressioni nelle idee pressoché contemporanee dei Valdesi, dei Fraticelli, dei Gioachimiti ed infine dei Francescani. Inoltre si rimproverava il fasto liturgico della Chiesa cattolica, di cui si rifiutava la gerarchia.
Tutto sommato era un potente movimento contestatore dell’ufficialità ecclesiastica, i cui motivi di protesta (tra i quali il rifiuto del sacerdozio, delle indulgenze e del purgatorio) risorsero colle tesi appiccate da Lutero alla porta del Duomo di Wittenberg nel 1517.
C’è da aggiungere che intorno al 1000 d.C. in Europa, un po’ dappertutto, si levarono movimenti riformatori laici di tendenza manichea, coll’inevitabile le seguito di tumulti e repressioni, tanto che nel 1022 il re Roberto di Francia fece bruciare alcuni settari; altri trovarono analoga sorte, condannati a Goslar nel 1501 dall’imperatore di Germania Enrico III. L’eresia investì anche l’Italia del Nord, trovando larghe adesioni in Lombardia, dove furono noti col nome di Patarini, termine derivante dal dialettale « patée» straccivendolo. La loro presenza nella Penisola è nota anche al Centro (Spoleto, Viterbo), e perfino in Calabria.
La Chiesa cattolica emise ripetutamente solenni decreti contro gli gnostici-Albigesipatarini a seguito di vari concili (Combers 1165, Verona 1184, quarto concilio laterano 1215); il Papato tentò a più riprese di ricondurre il movimento in seno alla religione cattolica ed inviò nelle zone provenzali infette dall’eresia propri legati al fine di conseguire tale scopo. Fatto sta che uno dei suddetti tentativi di riconversione sulla retta via cattolica si risolse nell’assassinio del legato papale, Pierre de Castelnau; del fatto fu incolpato, forse ad arte, un valletto del conte di Tolosa, Raimond VI. Il papa Innocenzo III, colse l’occasione per bandire la Crociata, il cui comando fu affidato a Simon de Montfort. La guerra durò oltre venti anni, dal 1209 al 1229, ma si ebbero ulteriori repressioni, fino all’incorporamento della Linguadoca (Languedoc) nel regno di Francia, con la presa del castello di Montségur nel 1244. La città di Béziers fu conquistata quasi subito e l’intera popolazione Cattolici e Catari alike, was slaughtered (senza distinzioni fu massacrata; B. Hamilton, 1979, pp. 18-19). Nel successivo anno 1210 fu conquistata la località di Minerve e 140 dei più eminenti catari (detti Perfetti) furono bruciati sul rogo. Carcassonne si arrese dopo un lungo assedio e successivamente toccò a Tolosa di essere investita dai Crociati. II conte Raimond VI cercò l’aiuto del cognato Pietro II d’Aragona, ma le loro forze congiunte subirono una disfatta totale da parte di quelle di Simon de Montfort, presso Muret vicino Tolosa (1213). Peraltro Raimond, grazie all’aiuto aragonese, riuscì a rientrare in Tolosa stessa il 13 settembre 1217, dove morì nel 1222. Intanto Simon de Montfort era caduto nel 1218. Il nuovo re di Francia Luigi VIII riprese la lotta contro gli Albigesi-Càtari conquistando Avignone (nel 1226) e la Linguadoca; il trattato di Parigi del 1229 pose ufficialmente fine alla guerra. Nella riconversione degli eretici al Cattolicesimo svolsero larghissima operazione di apostolato i Domenicani, fondati nel 1216 da Domenico di Caleruega; ad essi fu affidato dai papi l’istituto dell’Inquisizione nell’anno 1231.
In conclusione è ben noto che la campagna contro gli Albigesi fu una triste pagina di storia, il cui termine purtroppo non segnò la fine delle guerre di religione.
La situazione politica
Altra premessa storica concernente i nostri castelli riguarda la situazione politica dell’occidente europeo, con la penisola iberica occupata per due terzi dagli Arabi, almeno per una buona metà del secolo XII: ciò giustifica le precauzioni adottate in terra di Francia per non restare sprovveduti ed impreparati di fronte ad un possibile ritorno offensivo dal sud verso il nord: l’Africa aveva ripetutamente aiutato la Spagna musulmana a riprendere la lotta contro gli stati cristiani, prima con gli Almoravidi e poi con gli Almohadi.
Simile preoccupante situazione dà ragione della rete di luoghi fortificati dislocati a sorvegliare le vallate pirenaiche. Questa rete castellare, predisposta a distanza tale da poter reciprocamente segnalare il pericolo, venne evidentemente realizzata in funzione di simile rischio. E vero infatti che gli stati d’Aragona e di Castiglia costituivano una abbastanza solida barriera verso gli emirati arabi, però è anche vero che fino al 1150 la linea di confine tra Cristiani e Musulmani, dalla parte del Mediterraneo, correva lungo il tratto finale dell’Ebro: Barcellona era a due passi dal grande fiume. Fino al 1212 (grande battaglia di Las Navas de Tolosa) la catena pirenaica non era certo tanto distante da scoraggiare una possibile puntata verso nord dei guerrieri di Allah.
I castelli
Fatte queste brevi premesse, veniamo ai nostri castelli, i quali sono abbastanza somiglianti l’uno con l’altro, secondo uno schema di pianta semplice e – per quel che ne sappiamo – piuttosto diffuso, almeno nei paesi mediterranei. Come è evidente nelle foto scattate dall’aereo, essi si innalzano sopra aspri colli rocciosi, da cui dominano le sottostanti vallate, ed occupano ristrettissime aree che permettono a malapena l’insediamento di simili complessi di sorveglianza e di difesa. Il Fournier li definisce isolés: Quéribus et Peyrepertuse, véritables nids d’aigle, n’ontdonné naissance à aucune agglomération (Q. e P., veri nidi d’aquila, non hanno dato origine ad alcun agglomerato; G. Fournier, 1978, p.188). Essi, ai quali possono aggiungersi quelli del già menzionato Montségur e di Puylaurens, avevano la funzione di ospitare una guarnigione, una posta militare e di sorvegliare una località strategica. Sono costruiti interamente in pietra; di conseguenza, secondo l’illustre studioso francese qui citato, sono senz’altro posteriori al 1100; infatti prima di quell’anno in Occidente i materiali di costruzione degli impianti fortificati si riducevano alla terra ed al legno, secondo l’antica tecnica dello aggere gallico di cui Giulio Cesare – nonostante la bravura del genio militare romano – lamentava la resistenza all’incendio ed ai colpi dell’ariete d’assalto (A. Cassi Ramelli, 1964, p.66).
Peraltro occorre notare che dall’altro versante dei Pirenei, quello spagnolo, i castelli di Mur e di Marmellà, costruiti in pietra, risalgono a prima della metà del secolo XI (v. Puig y Cadafalch, De Falguera, Goday y Casale, 1911, vol. 2°, p. 450 ss.). Sembra quindi possibile che la situazione conflittuale tra Cristiani e Musulmani abbia imposto in Spagna l’adozione di strutture difensive più solide di quelle francesi, peraltro non immuni da scorrerie saracene provenienti dal mare. Ad ogni modo, queste edificazioni al loro interno presentavano secondo una disposizione bipolare: da un lato la chiesa, dall’altro la residenza signorile che nei tempi più antichi si collocava nel donjon (il maschio, la torre maestra). Di conseguenza la difesa del castello si scaglionava nel senso della lunghezza. Il donjon veniva situato nella posizione più alta in modo atto a proteggere gli altri fabbricati.
In mezzo ai due suddetti poli si interponeva la basse-cour, cortile interno ospitante i vari servizi, i quali negli impianti di maggior mole consistevano in appartamenti privati per alloggio dei cavalieri, dei domestici, degli ecclesiastici; poi scuderie, magazzini, cantine, cucine, cisterne, ecc. I donjon più antichi erano di pianta rettangolare, caratteristici dell’ovest della Francia e dell’Inghilterra; uno dei meglio conservati è quello di Loches e Oltremanica la Torre Bianca di Londra; si accedeva all’ interno del primo piano mediante una scala mobile, mentre il pianterreno era senza aperture ed ospitava le cantine ed i depositi; più tardi fu rinforzato con una scarpa. Al primo piano, di consueto, si trovava una sala, mentre ai piani superiori si disponevano varie camere raggiungibili mediante strette scale.
Dopo le Crociate
Dopo le esperienze Crociate in Terrasanta, i castelli europei subirono diverse modifiche prese a prestito dalla tecnica costruttiva arabo-bizantina. La basse-tour fu ristretta, gli edifici interni si addossarono alle cortine, anche questo partito arabo-bizantino; i donjon assunsero la pianta circolare e furono trasferiti sui baluardi esteriori; si ritornò alla doppia cinta di mura (come al Crac des Chevaliers, in Siria), si diffuse l’uso delle caditoie (o bertesche, nel mondo musulmano, già impiegate nel secolo XII) e delle mura perimetrali profondamente scavate da grandi archi in serie (mura bizantine di Antiochia, fine secolo V) di cui furono provviste anche le chiese (ad esempio, duomo di Agde, ma anche S. Nicola di Bari ed altri duomi pugliesi) spesso fungenti da veri e propri donjon. L’impianto passò dalla forma quadrata, memore di castra romani, a quella ellittica (o piriforme – anche molto schiacciata – dove le asperità del terreno non permettevano altra soluzione) oppure poligonale, di cui il più perfetto esempio è costituito dal pugliese Castel del Monte.
I castelli del sud della Francia, cui sopra si è accennato, dove si rifugiarono i Catari col benestare dei feudatari proprietari, non possono essere compresi nel XIII secolo, poiché la guerra contro l’eresia albigese iniziò nel 1209, e quindi essi a quel tempo erano già esistenti. In base alle loro caratteristiche di pianta molto allungata, simile a quella dello spagnolo castello di Mur della metà del secolo xi, al quale non possono essere anteriori, ed in base alla presenza di molte torri rotonde e multilatere (Puylaurens e Quéribus) non riteniamo di andare lontani dal vero se ne crediamo la costruzione essere avvenuta nella seconda metà del secolo xii. È molto evidente la collocazione dei donjon, incorporato nella cinta muraria – caratteristica dell’epoca del re Filippo Augusto, 1180-1223 (P. Héliot, 1965) – e piazzato in corrispondenza di una delle estremità del castello. Lo stato di rovina interno non permette di formulare certezze sulla destinazione dei ruderi che qua e là, lungo la basse-tour, sono addossati alle mura, ma dovevano senz’altro far parte di edifici di abitazione e di servizio. Non è detto, poi, che le costruzioni dentro la cinta muraria fossero tutte in pietra, poiché fino alla fine del secolo XI si impiegò abbondantemente il legno per consimili opere, come del resto è ancora uso corrente nelle città del nord-Europa, ed anche nel nord-America, specie in Canada.
L’asprezza dei luoghi rendeva superfluo lo scavo di un fossato esterno e, nel contempo, escludeva l’uso di macchine d’assedio e di gallerie sotterranee che avrebbero dovuto affrontare la roccia. Come per altre epoche e per altre storie, del movimento cataro, il cui insorgere provocò le spietate reazioni del regno di Francia, non resta più traccia, salvo alcune – tuttora perduranti, ma a livello molto esclusivo – cosiddette chiese gnostiche. Delle passate vicende resta la testimonianza materiale muta, ma eloquente se interrogata e fatta parlare, dei monumenti che gli uomini protagonisti di simili vicende hanno lasciato di sé.
Foto: veduta di Montségur. Nel torrione si verifica un fenomeno alquanto singolare: la luce del sole non vi entra mai direttamente, tranne che al Solstizio d’estate. In quel giorno i raggi penetrano esattamente dalle feritoie (archères) della faccia orientale, attraversano il vano ed escono con altrettanta esattezza dalle feritoie sulla parete opposta. Il fenomeno dura solo pochi minuti ed ha fatto ipotizzare che la costruzione fosse una sorta di tempio solare, cosa che contribuisce all’alone di mistero che circonda il castello: i Càtari non praticavano, almeno palesemente, culti di tipo pagano.
Tratto da: L’Ingegnere Umbro n. 12 – anno VII – Dicembre 1998
di Enzo Pardi