Non è facile tracciare in breve spazio la storia ed i pregi, militari ed architettonici, dei castelli templari nella zona siro-palestinese, lungo la quale furono innalzati al tempo delle Crociate. Quasi tutte simili strutture difensive sono ridotte pressoché a zero, cioè; a cumuli di macerie, tanto per le distruzioni subite durante gli assedi, quanto per i terremoti frequenti in quelle zone, come infine per l’incuria degli uomini durata sei o sette secoli. Oggi esse sono progressivamente riscoperte, scavate, rimesse in luce, studiate e nei casi più; fortunati restaurate. Nel periodo 1099-1291 – tanto durò l’occupazione da parte dei Cristiani europei della summenzionata regione – furono costruiti fortilizi non soltanto da parte dei Templari, ma anche di altri Ordini religioso-militari, di cui i principali furono gli Ospitalieri di San Giovanni (poi di Rodi e di Malta) ed i Cavalieri Teutonici, tuttora
esistenti con sede centrale a Bolzano. I cavalieri Templari, chiamati anche Militia Christi (Milites Christi) avevano la funzione di proteggere i pellegrini, che si recavano per devozione in Gerusalemme presso la chiesa del Santo Sepolcro di Gesù, dagli assalti briganteschi di bande musulmane infestanti quelle contrade la cui totalità – comprendente anche il Libano e la Giordania – era in quei lontani momenti compresa sotto un’unica definizione: “Outremer” (Oltremare).
Per quel che concerne più da vicino il nostro argomento, i castelli templari sono venti, tenendo presente tuttavia ed anzitutto che accanto ad essi sorsero casali (“casalia”) fortificati, torri di avvistamento, etc. ed in secondo luogo che non furono tutti contemporaneamente utilizzati; secondo l’autorevole opinione di Edward Burman i loro proprietari non ne occuparono mai più di dieci nello stesso lasso di tempo. Se vogliamo enumerarli,
da nord verso sud, il primo è quello di Baghras, affiancato dal castello sussidiario di Darbsaq (Trapezac) esso, più che Arabi e Turchi, sorvegliava il passo montano tra la Turchia e la Siria (le cosiddette «porte siriane») e teneva d’occhio le mosse del vicino impero bizantino; dopo varie vicende arrivò; in mano templare nel 1191 e fu perduto nel 1268 ad opera dell’emiro mamelucco Beibars, che nel corso di alcune energiche campagne militari ridusse i Crociati a poche teste di ponte sulla costa mediterranea, donde alla fine del secolo XIII furono definitivamente scacciati. Proseguendo verso sud, i Cavalieri possedevano sul mare la Roche de Roissel , poi Tortosa , del cui castello restano notevoli resti: fu affidato all’Ordine Templare nel 1152 ed evacuato nel 1291 quando Outremer venne definitivamente abbandonato. Più; nell’interno, presso il passo montano separante i monti del Libano da quelli Nosairi (Gebel al-Ansariya) si erigeva il Castellum Album (Chastel Blanc); ancora sul mare, la gigantesca piazzaforte di Athlit; più all’interno Arima e, per soli dieci anni, Beaufort sorvegliante su uno strapiombo di 300 metri la vallata del fiume Litani, perduto nel 1268 ad opera del suddetto Beibars; poi Safed e Le Chastellet, quest’ultimo conquistato nel 1179 dal sultano Saladino dopo un feroce corpo a corpo dentro le mura, come è stato di recente testimoniato dal reperimento dei cadaveri di soldati cristiani. Resti conservano i castelli di Merle e del Casal des Plains ; non più; esistenti sono quelli chiamati La Fève e Le petit Gerin, distrutti dal Saladino nel 1187. Seguono Caphalet e Qaqun nelle vicinanze di Gerusalemme, Quarantaine (sul monte della Quarantena), Toron des Chevaliers, Maldoin e infine Gaza. I nomi in lingua francese trovano ampia giustificazione nel fatto che la maggior parte dei Cavalieri Templari proveniva da oltralpe, anche se è; da segnalare il fatto che nell’ultimo combattimento che condusse alla perdita della città; di Acri ed all’espulsione dei Cristiani da Outremer, il loro Gran Maestro, Guillaume de Beaujeu, cadde da eroe fra i Crociati do val d’Espolite, cioè della valle di Spoleto. Chissà quanti poveri, valorosi, ignoti umbri persero la vita in quei lontani, ingrati paesi nel corso delle Crociate!
Altri castelli
Altri castelli templari sorsero in Spagna e Portogallo, lungo l’incerto confine separante Musulmani e Cristiani; ma di ciò; non possiamo interessarci, almeno in questa sede.
Le deficienti condizioni di conservazione delle strutture di cui stiamo trattando rendono necessario il confronto con quelle innalzate dagli Ospitalieri, dai Teutonici e dalla nobiltà; locale residente nell’effimero regno di Gerusalemme e, più; in generale, in “Outremer”. Occorre cioè; occuparci delle tipologie, che forse sarebbe meglio definire come linee di tendenza costruttivo-distributiva, poiché; il termine “tipo-logia” ci sembra condurre ad un inquadramento eccessivamente rigido di questi e di altri monumenti. Preferiamo parlare kantianamente di “schemi”. Gli schemi dei castelli del Medioevo conservano fino a verso la fine del XII secolo l’impianto proveniente dall’architettura militare romana, mantenutosi attraverso l’impero bizantino ed i vari califfati arabi. è; strano che la costruzione di strutture di tal genere abbia tenuto scarso conto delle prescrizioni dettate da Marco Vitruvio Pollione nel libro primo, punto v, dell’oracolare trattato “De Architectura” (oracolare nel Rinascimento; evidentemente i generali romani avevano ben altro da fare che leggere Vitruvio); infatti egli prescrive che « la fortezza non dovrà avere pianta quadrilatera, né presentare angoli sporgenti, ma piuttosto di forma circolare, così; che sia possibile controllare il nemico da più; punti»; invece “i castra” romani sono tracciati proprio secondo la sconsigliata pianta. Lo schema viene ripetuto dai Bizantini: vedasi il testo di Antonio Cassi Ramelli “Dalle caverne ai rifugi blindati”, Milano, 1964, pag. 74, mostrante alcuni esempi di tal forma situati nell’attuale Giordania.
Passando dai Bizantini agli Arabi, anche i castelli innalzati dagli Omeyyadi non si discostano dal consueto modello: essi offrono pianta quadrata, o tendente ad essa, con torri rotonde agli angoli e lungo le cortine murarie. Gli ambienti d’abitazione sono direttamente appoggiati alle cortine stesse, in modo che i muri divisori tra camera e camera costituissero, dall’interno, altrettanti contrafforti, impedenti la caduta – lungo estesi tratti – del recinto murario, qualora fosse stato battuto dall’ariete o da altre macchine d’assedio. Inoltre, nel caso dell’apertura di una breccia, gli attaccanti sarebbero stati intrappolati entro una sola camera, dove non sarebbe stato difficile eliminarli. La porta d’ingresso ad una fortezza era di consueto affiancata da due torri rotonde, con galleria superiore ed arcatelle ricorrenti lungo la facciata, al fine di saettare gli assalitori o rovesciare su di essi olio bollente, sassi, eccetera. In tale quadro rientrano, ad esempio, gli edifici di Qasr al-Hair ash Sharqii (sec. VIII), dove la due torri rotonde di evidente ricordo romano (Porta S. Paolo, S. Sebastiano, etc.) – presenta in alto ed in asse con la porta stessa una caditoia (bertesca), e di Qasr al-Hair al-Garbi (sec. VIII) con galleria ad una fila di arcatelle (ad esempio, come quelle della facciata del duomo di Pisa) correnti fra le due torri; entrambi sono situati più; o meno a metà; strada fra Damasco e Palmira.
Altre emergenze architettoniche del genere possono indicarsi al Qasr (palazzo) al-Kharanah, in Giordania, ed al palazzo di Minya presso il lago di Tiberiade, sempre entro il secolo VIII. Lo schema fu ripetuto in numerose ville-fortezze di cui Federico II di Svevia costellò l’Italia meridionale: si vedano ad esempio il castello Ursino di Catania singolarmente somigliante al Qasr al-Kharanah – e quelli di Prato, Augusta e Siracusa.
Al tempo delle Crociate
Trasferendoci all’epoca delle Crociate, iniziate come è; noto nel 1099 con la prima, guidata da Goffredo di Buglione, non c’è; dubbio che nel corso dei due secoli successivi all’ XI i sistemi di fortficazione – anche in Europa – siano stati completamente rivoluzionati a causa del permanente stato di guerra in cui precipitarono le popolazioni di “Outremer”: gli Arabi ed i Turchi Selgiuchidi e Mamelucchi non dettero tregua ai Crociati e distrussero ripetutamente l’intero esercito cristiano (come ad Hattin ed a La Forbie), salvo mettersi subito dopo a litigare per la suddivisione delle spoglie e dei territori, ciò; che consentiva alla parte avversa di riprender fiato e di attendere l’arrivo dall’Europa di un nuovo esercito; cosicché; periodicamente i conflitti ricominciavano daccapo, con tutta la possibile violenza. All’inizio, le orde ancora semibarbariche di guerrieri cristiani sorpresero il nemico islamico e riuscirono a conquistare Gerusalemme; al fine di fronteggiare un ritorno controffensivo del nemico, venne organizzato in tutta fretta uno stato sotto la guida del fratello di Goffredo, Baldovino (1100-1118), che assunse il titolo di re. In questa prima fase si trovò; un riparoentro le vecchie fortezze bizantine ed arabe, ma si dette mano anche all’innalzamento di nuovi impianti difensivi, là dove era prevedibile aspettarsi l’irruzione.
La struttura
Forma ellittica fu data al Chastel Blanc dei Templari quasi annegato in mezzo alle casette arabe del villaggio di Safita, al monumentale e tuttora ben conservato Crac des Chevaliers, avamposto delle difese cristiane sbarrante il passo della Buqaia tra la catena del Libano e quella dei Monti Nosairi, a Montfort dei Cavalieri Teutonici, a Safed – ancora dei Templari – dal quale si dominava la Galilea. Le dimensioni delle ellissi (approssimate) di pianta di questi a edifici si aggirano, più; o meno, sui 200 m (asse maggiore) per 100 m (asse minore). All’interno si era provvisti di tutto, onde sopperire ai bisogni di guarnigioni ammontanti fino a 2.000 uomini. Le truppe si sistemavano lungo i corridoi coperti convolte e fiancheggianti le cortine murarie, lo spessore delle quali talvolta raggiungeva i nove metri (Saòne): Era previsto un ristretto alloggio privato per il commendatore comandante la piazzaforte; una cappella di non grandi dimensioni (di solito 9 x 18 m, circa), ma curata in ogni particolare architettonico, dava ricetto alla pietà; dei Cristiani; un salone d’onore serviva peri ricevimenti, per l’amministrazione giudiziaria, per le udienze etc.; al Crac des Chevaliers abbiamo visto una tavola girevole di due metri di diametro sulla quale venivano via via deposti il pane e le cibarie; ognuno, passando, prendeva la propria razione e faceva ruotare il meccanismo per l’approvvigionamento del successivo soldato: un “self-service … ante litteram!” C’erano forni, cucine, mulini a vento, frantoi, enormi magazzini pieni di grandi orci per l’olio e per il vino, stalle e soprattutto ampie cisterne sotterranee per l’acqua (possono giungere a 10 x 25 x 15 m di altezza e sono coperte con una volta a botte acuta). In sostanza si trattava di veri e propri villaggi autosufficienti, almeno finché; erano riforniti di generi alimentari, poiché; spesso erano dislocati in zone semidesertiche o boscose, dove era difficile procurarsi in misura adeguata le necessarie cessarie vettovaglie.
L’ingresso ai castelli era studiato con particolare cura: si cercava di realizzare un percorso in salita, a gomito (cioè; a braccio ripiegato) così che l’assalitore giunto a mezza strada dovesse voltare le spalle e, nel primo tratto del percorso, tenesse il fianco sinistro rivolto verso l’esterno del castello in modo da lasciare scoperto il fianco destro: infatti lo scudo si imbracciava con la sinistra e la spada si impugnava con la destra, di modo che il nemico era esposto alle frecce dalla parte del corpo non protetta.
Sfruttamento delle asperità naturali
Nel contempo, si incominciò; a meglio valutare la possibilità; di sfruttamento delle asperità; naturali; perciò; i castelli non soltanto furono installati sull’alto dei colli, o su strapiombi di roccia donde si potevano controllare strade e dintorni, bensì; si cercò; di edificarli presso luoghi naturalmente forti, come ad esempio la confluenza tra due fiumi, che avrebbero in tal modo ostacolato da due lati l’eventuale avvicinamento delle macchine d’assedio. Bastava scavare il fossato lungo il terzo lato verso terra per ottenere un triangolo percorso dalle acque, entro la cui area la fortificazione trovava un notevolmente sicuro rifugio (senza contare che in quelle assolate contrade l’acqua faceva e tuttora a sempre comodo!). Esempi di tali generi di fortificazione sono rappresentati dal castello di Margat, degli Ospitalieri, che fronteggiava la rete di castelli appartenenti alla pericolosa setta degli Assassini lungo i Monti Nosairi, e da quello templare di Athlit presso la costa palestinese. Il primo ha un perimetro più o meno triangolare, con i lati che seguono la cresta di un alto colle e le cui emergenze difensive si adattano alla asprezza delle posizioni lungo il suddetto perimetro; il secondo sorge su una penisoletta circondata per tre quarti dall’acqua, mentre il quarto lato verso terra è; tagliato da un fossato su cui incombe una duplice fila di enormi torri. Altri esempi sono costituiti dai castelli doppi, vale a dire collocati l’uno a terra sulla sponda marina e l’altro su una isoletta situava a breve distanza dalla sponda stessa; un ponte superava lo stretto braccio d’acqua separante i due fortilizi che potevano così prestarsi reciproco aiuto sia in caso di attacco da terra che dal lato mare; inoltre il ponte poteva essere facilmente tagliato, interrompendo l’unica comunicazione fra i due apprestamenti militari: si possono indicare gli impianti di Sidone nel Libano e di Korykos in Cilicia, quali modelli rappresentativi di sfruttamento delle risorse dei luoghi. L’espugnazione di queste fortezze divenne pressoché; impossibile; esse vennero perdute per spontaneo abbandono in mani musulmane; infatti verso la fine del XIII secolo fu chiara ai Crociati l’inutilità; di ostinarsi a possedere “Outremer” in una situazione di perpetua belligeranza, con l’Europa ormai stanca di dover continuamente rifornire quel lontano paese, e con la cessazione dell’entusiasmo popolare nei riguardi dei pellegrinaggi in Terrasanta; inoltre le ripetute gravissime sconfitte dei vari eserciti crociati incrementarono il clima di sfiducia verso ulteriori imprese militari in Medio Oriente. Il Papa tentò; a più; riprese di organizzare nuove spedizioni, ma le sue buone intenzioni riscossero scarso seguito e trovarono applicazione concreta soltanto in qualche colpo di mano più; o meno fortunato. A testimoniare l’infelice esito delle passate imprese delle milizie cristiane è rimasta l’architettura.
Foto: il castello di Margat era il Q.G. degli Ospitalieri e fronteggiava la catena di fortificazioni della setta degli Assassini (Hashishin), setta con la quale i Templari intrattennero rapporti ancora non del tutto chiariti e che costarono loro, al tempo della persecuzione, anche l’accusa di connivenza col nemico.
Tratto da:L’Ingegnere Umbro n. 6 – anno VI – Dicembre 1997 di Enzo Pardi