Tratto da “La Nazione.it” del 7 settembre 2003 di Mimmo Coletti
Processi senza imputati.
PERUGIA — Dopo la fortuna, il tempo della vendetta. Più o meno motivata. Anzi, pare proprio pretestuosa. I Templari braccati, costretti a confessare colpe scritte sulla carta, incarcerati. Così narrano le cronache e riportano i libri. Ma in Umbria si aggiunge un enigma. Perché solo sette templari (un solo nome emerge, quello di tal Vivolus di Villa San Giustino)arrivarono davanti ai giudici e l’entità delle condanne è ignota al pari dell’elenco degli indagati. Appunto: gli altri, che dovevano essere parecchi in un territorio tanto esteso, si dissolsero nel nulla. Aveva funzionato un tam-tam sotterraneo, avvisi lanciati e subito raccolti. Prbabilissimo Una questione strana per il periodo. Quando era stato allestito un tribunale itinerante che si era avviato a Roma nell’autunno del 1309 per concludere i giudizi a Palombara Sabina il 27 maggio dell’anno successivo.
Due i centri interessati: convocazione dei rei ad Assisi il 25 febbraio 1310 ed a Gubbio dal 3 al 7 marzo successivo: le prime due giornate si svolsero a Santa Croce, il 6 e il 7 in Vescovado. Nessuna traccia del cosiddetto gran precettore né di coloro che stavano a lui vicini, neppure della manovalanza. Ci sono solo quelle sette persone con un solo nome riportato dagli atti.
Un altro sentiero da percorrere per comprendere, sapere, avere un quadro accettabile. La verità giace in archivi che non sono mai stati aperti: un campo sterminato d’indagine. Da verificare
quanto prima.
Il centro a S. Bevignate.
PERUGIA — Se n’è parlato molto da vent’anni a questa parte. A parte il già ricordato contributo di Tommasi, si rammentano in velocità un seminario del 1983 su Templari e Ospitalieri con relatori di fama (tra cui lo stesso Tommasi e Pietro Scarpellinim, cui si deve la lettura esatta degli affreschi di San Bevignate), un convegno dell’89 a Magione e Perugia con i contributi di esperti spagnoli, francesi, inglesi, tedeschi (gli atti furono pubblicati nel ’84 dal centro europeo di studi sugli Ordini militari) e nel 1991 un altro appuntamento voluto dall’università per i settecento anni dalla caduta di Acri, ultimo avamposto della cristianità i Oriente. E anche ora esiste una rivista specialistica, Sacra Militia, diretta da Franco Cardini e curata da Francesco Tommasi con testi in tutte le lingue d’Europa.
L’interesse è vivo, ma esistono ancora molte zone da esplorare.
E soprattutto è ancora in fase di lancio la proposta di utilizzo della chiesa di San Bevignate. Si dovrebbe prendere esempio dalla Francia delsud nel comprensorio di Larzac, dove è sorto un centro di documentazione degli Ordini militari con un circuito turistico straordinario: cinque villaggi fortificati da visitare, una biblioteca formidabile, un richiamo anche turistico invidiabile. Il consiglio scientifico, presieduto da Léon Pressouyre, docente all’università di Parigi I, ha realizzato un piccolo-grande miracolo, un circuito in cui la storia parla, la memoria è ben desta, il richiamo per gli addetti ai lavori ma anche per il pubblico grande è immediato e diretto. Con guide, depliant illustrativi, cartine Difficile ottenere questo in Umbria? Quasi sicuramente sì, visto che le tracce sono esili e impercettibili. Ma il progetto su san Bevignate esiste da almeno vent’anni: costruire un polo documentario anche virtuale, costruire una biblioteca di assoluto rilievo, offrire a chiunque la possibilità di capire da vicino l’importanza di un antico fenomeno di fede e di forza. Il disegno esiste, serio. E’ lontano da spontaneismi che sono solo velleitari.
Il mistero dei Templari
In Umbria spariti nel nulla
PERUGIA — Interrogativi di oggi su una presenza remota che ha lasciato segni tutti da decifrare. Si ascolta il fruscio della notte del tempo e arrivano, sparsi, messaggi ricchi di fascino inquietante. Templari in Umbria: al centro il gioiello della chiesa di san Bevignate, unica davvero per i suoi affreschi redatti in un volgare figurativo dai mille incanti, convento annesso cancellato e tutt’intorno — per centinaia di ettari — una precettoria che doveva essere tra le più estese d’Italia. Dal territorio di san Giustino d’Arno (tuttora tenuta agricola dei Cavalieri di Malta) a Santa Croce di Sigillo un terreno florido, fertile, generoso. Non esistono frammenti di mura difensive e di fortificazioni, la comanderia templare aveva dunque spiccata vocazione rurale. E non solo. Probabilmente vi cresceva il bestiame, cavalli soprattutto, fondamentali per le guerre in Terrasanta. Ogni templare ne doveva avere due, più quello per lo scudiero. E qui in Umbria l’allevamento doveva essere di primaria importanza assieme alle biade (ogni animale ne consumava una dozzina di chili al giorno), al frumento, a tutto quanto serviva per spedizioni rischiose in lidi lontani. Probabile pure che il convento servisse da punto di riferimento per chi tornava e per i cavalieri in procinto di andare al fronte che calavano da tutt’Europa e in Francia si imbarcavano da La Rochelle e da Aigues Mortes, propaggine della Camargue. Proprio alla maniera di altri punti focali dell’Ordine che si sono ritrovati, come bagliori, nelle Marche.
Ma quanti erano, doveva vivevano, in qual punto si trovavano i luoghi di sepoltura? Domande senza risposte complete: una ricerca del professor Francesco Tommasi ospitata in un Bollettino di Storia Patria del 1881, prende in considerazione il territorio arnate e svela i segni di un passaggio che ha fatto storia. Ma un esame totale non è stato mai redatto. Restano, a delimitare i possedimenti estesi, chiese che i secoli hanno trasformato in maniera radicale, cippi, pietre di confine. Parlano un linguaggio arcaico, da sfogliare brano dopo brano in un cammino denso di trasalimenti. C’è Santa Maria di Ripa, ad esempio, con il classico campanile a vela, esistono ruderi a Civitella, a San Donato, a Sant’Angelo a Pilonico Paterno e più avanti cippi con la croce patente templare a quattro spicchi, trovati per caso, qualcuno adattato ad uso diverso da quello originario di confine. A Gubbio, Bosco, Sigillo. Nella chiesa di Santa Croce si trovava una statua lignea della Madonna col Bambino dei primi del Trecento che venne acquisita dallo Stato nel 1941 per seimila lire da Bertini Calosso, figura di prestigio assoluto. E questo riporta alla Francia, alla venerazione per Notre Dame che i templari avevano come un sigillo: tant’è che attorno a Parigi, il punto più a nord era Le Havre, le loro chiese viste dall’alto disegnavano la costellazione della Vergine.
Ma qui in Umbria mancano documenti, a fianco dello studio magnifico di Tommasi, nome di rilievo europeo nel campo specifico, non esiste un’analisi approfondita. Si vagola nel buio, nella leggenda che circonda questi combattenti della fede che divennero potenti, temuti e invidiati, accusati di eresia da Filippo IV e da papa Clemente V. L’ordine fu abolito, la memoria dei templari cancellata. Già, sembra quasi che tutto questo prosegua a quasi settecento anni di distanza.
LA NAZIONE
PERUGIA — Esiste un acquerello di fine ‘700, rarissimo, forse unico: la grande chiesa, un laghetto, la pianura che si stende oltre i confini del colore. Era così San Bevignate nella seconda metà del Duecento, perla di un insediamento templare di stampo soprattutto agricolo che riforniva di cavalli e di biade (le macchine da guerra e la benzina del tempo) i combattenti in Terrasanta. Tanto grande da estendersi per centinaia di ettari fino a Sigillo: lo testimoniano remote pietre, simboli affioranti dalla terra, lembi di architetture. Bello, maestoso e ricco il tempio: con affreschi guerreschi, i soli al mondo, che parlano un volgare figurativo come a San Prospero, arcaico ed espressionista. Perduto l’annesso convento che era stazione di sosta per i cavalieri di ritorno dall’Oriente o per chi si accingeva ad andare, isolato sempre più il luogo, depredata la chiesa ricca di addobbi sacri a inizio ‘900 e poi spogliata con feroce insistenza. La vicinanza del cimitero non è stata di stimolo, anzi. La realizzazione d’un centro di documentazione — che sulla pagine di questo giornale lievita da oltre vent’anni — pare trasformarsi in lieta realtà. L’autorità degli interlocutori è garanzia internazionale che pone al riparo da velleitarismi dell’ultim’ora. Questo si voleva: che l’attesa sia breve.
m.c.