Capra parte dall’osservazione che la fisica moderna, con la teoria della relatività di Albert Einstein e la meccanica quantistica, presenta un quadro diverso da quello materialistico della fisica ottocentesca. Le “particelle” atomiche sono in realtà concentrazioni di energia in vibrazione piuttosto che veri e propri “corpuscoli duri” com’è sottinteso nella fisica classica, in cui si dà per scontata la validità della filosofia di Cartesio, la quale separa nettamente la materia (res extensa) dalla mente o dallo spirito (res cogitans).
Già nel libro Il Tao della fisica (Adelphi), che ha avuto grande successo ed è stato ristampato in varie lingue, l’autore critica il modello di scientificità (di derivazione cartesiana) prevalente nel mondo moderno occidentale, in quanto contrassegnato da un’impostazione meccanicistica, quantitativa e riduzionistica, che non corrisponde alla complessità del reale. Il suo successo sarebbe dovuto non alla portata teoretica, bensì ai risvolti pratici, in quanto tale paradigma scientifico avrebbe facilitato e potenziato il predominio dell’uomo sulla natura, così come auspicato da Cartesio, da F. Bacone e da altri “padri” della modernità.
Secondo Capra, vi è un intimo legame tra la gravissima crisi ambientale del nostro tempo e il tipo di cultura anti-ecologica affermatasi in Occidente negli ultimi secoli. Egli teorizza l’avvento di un nuovo paradigma, ricavabile dagli sviluppi della “nuova fisica” (e di altri settori della scienza contemporanea), ma anche dal misticismo orientale (Taoismo in primo luogo) e da varie altre saggezze premoderne orientate ecologicamente. Si tratta di elaborare un nuovo pensiero, caratterizzato in senso olistico, o meglio sistemico: esso viene così denominato perché privilegia il sistema, cioè la rete complessa costituita dalle molteplici interrelazioni, e non le singole unità costitutive (come voleva l’approccio analitico di stampo cartesiano). Seguendo tale orientamento che privilegia la “rete della vita” (immagine di grande efficacia più volte impiegata da Capra) e le interconnessioni cosmiche, l’uomo stesso è visto come parte della natura (e non in contrapposizione ad essa). Le implicazioni che ne discendono sono innumerevoli: qui ci limitiamo a sottolineare che la natura non è più ridotta ad oggetto di arbitrarie manipolazioni tecnologiche; al contrario, Capra osserva che noi dobbiamo imparare dai cicli della natura e dai principi organizzativi degli ecosistemi, anche con lo scopo improrogabile di costruire delle comunità sostenibili, capaci di ridurre l’impatto ecologico. Questo obiettivo non è più rinviabile, data la gravità della crisi ambientale a livello planetario: in funzione di ciò, Capra ha fondato a Berkeley il Center for Ecoliteracy, che come suggerisce il nome, si propone di promuovere l’ecoalfabetizzazione, la cui portata e urgenza è così delineata dallo stesso Capra: “…l’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello”. Nel presentare il valore formativo dell’educazione ecologica, Capra si ispira all’ecologia profonda, nel mentre prende le distanze dall’ecologia superficiale, in quanto caratterizzata in senso antropocentrico ed efficientistico; infatti “nell’ecologia superficiale gli esseri umani sono posti al di sopra e al di fuori della natura e, ovviamente, questa prospettiva si accorda con il dominio sulla natura…alla natura si attribuisce esclusivamente un valore d’uso, un valore strumentale. L’ecologia profonda vede gli esseri umani come parte integrante della natura, come nient’altro che un filo speciale nel tessuto della vita”