Il re barbaro e la dominazione dei Longobardi in Italia
Desiderio, ultimo re dei longobardi, segnò con le sue gesta la storia d’Italia. Ricordato come barbaro, fu l’emblema e l’ultimo fulgore di una civiltà che per due secoli fiorì in Italia e le cui tracce permangono nel patrimonio artistico di città come Brescia, Pavia, Benevento, Salerno. Come duca di Tuscia conquistò il potere avendo la meglio su Rachtis, il re-monaco che si era ritirato a Montecassino prima di tentare un nuovo assedio al trono. Fu legato a Brescia, dove stabilì il monastero di San Salvatore dal quale regnò sull’Italia dell’VIII secolo. Durante il suo lungo regno fu prima protetto dai Franchi e difensore del papato, quindi alleato di Carlo Magno, e poi, infine, nemico dei papi e di Carlo. Vinto alle Chiuse di Susa dai Franchi, Desiderio fu assediato a Pavia, finché nel giugno del 774, arresosi, fu rinchiuso nel monastero di Corbie, dove poco dopo morì.
Dopo essere stato sconfitto da Carlo Magno, il suo regno fu subordinato ad un potere esterno alla penisola italiana, sancendo la nascita della dominazione territoriale della Chiesa di Roma. Il brusco e drammatico precipitare degli eventi che segnarono la fine dei Longobardi ha reso difficile il ricordo della sua figura che questa biografia intende ricostruire, proponendo una narrazione degli ultimi vent’anni di storia del regno longobardo diversa da quella scritta dai vincitori della complessa partita che si giocò in Italia nella seconda metà del secolo VIII.
Riportiamo parte della interessante recensione scritta da Edoardo Castagna su Avvenire del 27.12.19 “Gasparri, docente di Storia dell’Alto Medioevo a Ca’ Foscari, prende di petto la questione: «La grande narrazione della storia d’Italia non comprende i barbari nel suo seno. È fondata su Roma e sulla sua eredità. Anche il relativo interesse che i Longobardi e gli altri barbari talvolta riscuotono in questi ultimi anni va ricondotto pur sempre alla loro presunta estraneità all’Italia. Interessano infatti come esempio antico di migranti». La storiografia si è lasciata alle spalle da tempo una simile semplificazione, «ma di questa grande opera di revisione è filtrato abbastanza poco nel comune senso storico ». Già le stesse “invasioni” barbariche sono viste sempre meno come grandi movimenti di massa e sempre più come processi di progressiva infiltrazione e assimilazione, scaglionati lungo l’ampio arco di tempo che chiamiamo Tarda Antichità e Alto Medioevo, nel mondo grecoromano; e perfino il concetto di “popolo” – barbarico o meno che fosse – è stato messo in discussione, giacché al loro interno i vari gruppi che si accostavano, più o meno pacificamente, all’Impero erano tutto fuorché omogenei. Nei Longobardi che nel 568 entrarono in Italia c’era di tutto: Sassoni, Avari, Gepidi, perfino “Romani”, per lo più Bizantini, assorbiti durante la lunga permanenza del popolo a ridosso del Limes. Una volta giunta in Italia, poi, questa gente eterogenea si confuse rapidamente – superata la primissima fase dell’“invasione” – con la popolazione locale, tanto che presto il termine “longobardo” perse ogni connotazione “etnica” e passò a indicare semplicemente qualsiasi abitante del regno longobardo, cioè pressoché tutta l’Italia continentale. Ne rimanevano fuori solo Roma e le ultime roccaforti bizantine (Ravenna, Napoli, la Pentapoli adriatica…): i cui abitanti, indistintamente, erano chiamati “romani”. «I nomi dei popoli – spiega Gasparri – assumono un valore diverso nel corso del tempo. Non capirlo, e restare invece attaccati a delle etichette etniche viste come immobili nel tempo, significa sottrarre i popoli alla dinamica storica, trasformandoli in entità metastoriche: un’operazione, questa, della quale mi sembra giusto sottolineare la pericolosità».
Desiderio. Scritto da Stefano Gasparri. Ed. Salierno 2019