La storia del convento di S. Francesco al “monte” di Perugia – così chiamato per distinguerlo da S. Francesco al “prato” dei Minori conventuali, o più familiarmente “Monteripido” per l’erta scoscesa sul quale sorge – porta l’impronta della secolare dimora dei frati dell’Osservanza francescana. I quali vi furono chiamati nel 1374 in seguito all’espulsione di una folta comunità di eretici de opinione, che si erano impossessati di alcuni edifici posti all’esterno delle mura urbiche, non lontano dal tempio bizantino di S. Angelo e a ridosso della strada che collegava Perugia a Ravenna, dove la tradizione indicava la cella del beato Egidio, terzo compagno di san Francesco. Questi “fraticelli” erano protetti dal popolo, perché indossavano l’abito di san Francesco e simulavano una vita onesta, ma recarono scandalo per le aspre critiche che muovevano al papa e alla Chiesa, e soprattutto per le liti furibonde con i frati del convento cittadino. Questi ultimi sobillarono gli animi contro i fraticelli e inviarono messi a Brogliano, nella montagna folignate, per convincere fra Paoluccio Trinci ad aprire una comunità a Perugia, impedendo così che i fraticelli tornassero ad occupare i luoghi lasciati. Nei primi tempi Monteripido non ospitò più di 4/5 frati, ma ben presto il numero dei religiosi crebbe in maniera vertiginosa arrivando a contare più di 60 frati. La fortuna del convento perugino fu legata allo straordinario successo incontrato dall’Osservanza francescana a causa dell’intensa predicazione delle “quattro colonne” – Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano, Alberto da Sarteano, Giacomo della Marca – ma soprattutto grazie all’apertura di uno Studium generale, che fu inaugurato nel 1425 con una lezione di Bernardino da Siena. In realtà, Monteripido nacque come romitorio, per la protezione accordata al beato Egidio da Assisi dal nobile perugino Giacomo di Bonconte Coppoli. Quest’ultimo il 14 febbraio 1276 donò al procuratore del convento di S. Francesco al “prato” il locus sul colle di «Pastine» dove abitava con la suocera, insieme a una domus, l’oratorium e altri edifici lì costruiti, con la clausola di poterne conservare l’utilizzo in vita. La donazione fu fatta in onore e per reverenza di Dio, della beata Vergine, del beato Francesco e del santo padre Egidio – «et sancti patris fratris Egidii, qui moram contraxit ibidem pro Dei reverentia et obiit» – che aveva dimorato a lungo in preghiera in quel luogo e vi era morto. Ad un soggiorno del beato Egidio nelle case dei Coppoli accenna un documento di poco più antico, del 4 gennaio 1268, che porta la datazione topica «in trasanna domus domini lacopi [Coppoli] supradicti, que est posita in Colle Pastine, qui dicitur Collis beati Egidü». Di fra Egidio si conosce la data di morte, avvenuta a Perugia il 23 aprile 1262, ma nessuno tra i primi biografi rammenta il luogo esatto della morte. Il suo corpo fu tumulato nel transetto meridionale della chiesa di S. Francesco al “prato”, in uno splendido sarcofago paleocristiano – ora utilizzato come mensa d’altare nell’oratorio di S. Bernardino – ornato da un bassorilievo con la Traditio legis. Prima di morire Egidio aveva espresso il desiderio di rivedere la Porziuncola, ma i magistrati di Perugia si opposero al progetto e fecero presidiare la cella dell’eremita nel timore di perderne il corpo; il frate, infatti, era circondato da una fama di santità, per essere stato uno dei primi compagni di san Francesco e per le frequenti estasi mistiche di cui era andato oggetto. Egidio, che aveva anche il dono della profezia, mandò a dire ai perugini che le campane non avrebbero suonato né per la sua canonizzazione né per grandi miracoli; da lui non era da attendersi altro segno che quello di Giona. Una volta morto, i perugini cercarono una pietra per dargli una degna sepoltura e trovarono una cassa marmorea nella quale era scolpita la storia di Giona; compresero allora di essere stati beffati dallo spirito arguto del frate. Questa arca in pietra fu vista da Salimbene de Adam da Parma, che visitò Perugia nel 1265 e ne fece cenno nella sua Cronica. Di fra Egidio la storiografia francescana ci ha tramandato alcune leggende agiografiche e una raccolta di detti traboccanti candore e saggezza popolare, ma anche critiche feroci della svolta clericale impressa all’Ordine negli anni successivi la morte del santo fondatore; come quella volta che disse con fare canzonatorio ad un frate predicatore: «Bo bo, id est, multo dico, et poco fo»; o quando bollò l’eccessiva importanza assegnata all’insegnamento dei frati nell’Università di Parigi: «Parisius, Parisius, ipse destruis ordinem Sancti Francisci». Fu soprattutto una figura bellissima di una stagione eroica che vide il giovane Francesco tentare la strada di una radicale proposta di vita cristiana, affiancato da un gruppo ristretto di seguaci che seguendo il suo esempio praticarono il rifiuto delle ricchezze materiali e la pratica del lavoro manuale. Nel romitorio di Monteripido è ambientato un episodio edificante, probabilmente apocrifo, che vide il beato Egidio contendere con il ministro generale e futuro santo Bonaventura da Bagnoregio. Una volta fra Egidio disse a san Bonaventura: chiesa di San Francesco del Monte: interno «Padre mio, molte grazie ci ha fatto Dio, ma noi che siamo semplici e idioti, che siamo privi di tutto, cosa potremo fare per salvarci?». Rispose san Bonaventura: «Se Dio concede all’uomo la sola grazia di poterlo amare, questo basta». Allora disse fra Egidio: «Un idiota può amare quanto un letterato?». Rispose san Bonaventura: «Una vecchierella lo può più di un maestro di Teologia». Allora fra Egidio corse pieno di fervore nell’orto, verso la porta che guarda verso la città, e gridò: «Povera vecchierella, semplice e idiota, ama il Signore nostro Dio e potrai diventare più grande di fra Bonaventura». E restò rapito in estasi per tre ore.
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