Farneto, a circa 14 chilometri da Perugia, sulla antica via Eugubina, sarebbe restato uno dei tanti colli ricoperti dai ruderi di vecchi monasteri benedettini, se non fosse stato affidato, in atto di riconoscenza, a San Francesco e ai suoi frati.
Ecco come andarono le cose. San Francesco era partito dalla Porziuncola per recarsi alla Verna. Attraversando la vallata del Tevere, fra Perugia e Gubbio, gli si fece incontro l’abate del monastero di San Giustino, per riverirlo e per raccomandarsi alle sue preghiere. Continuando il viaggio, dopo poco il Santo pregò il compagno di fermarsi per “mantenere la promessa”; si raccolse in preghiera sul ciglio della strada e, nel frattempo, “l’abate sentì un insolito calore e una dolcezza di spirito mai provato”.
Per questo, afferma Tommaso da Celano, restò poi sempre affezionato all’Ordine.
In quell’occasione, l’abate volle regalare “il luogo del Farneto” al Santo.
Forse c’era lì un ospizio rurale o grancia del vicino monastero di S. Giustino; c’era un oratorio dedicato alla Madonna (anche attualmente si chiama “chiesa della SS. Pietà”), ed un magnifico bosco di farnie che avevano dato il nome al colle.
Seguendo gli storici francescani, apprendiamo che questo fu lo scenario di alcuni simpaticissimi episodi, anche oggi testimoniati dalla tradizione e da preziose reliquie conservate nella chiesina. Il primo incontro del pellegrino avviene con uno strano monumento, sulla piazzetta antistante la chiesa, a coronamento del colle: un fusto altissimo di cipresso, su un basamento di travertino e sorretto da quattro colonnine snelle in ferro battuto. E’ il bastone di San Francesco. La tradizione infatti riporta che il Santo un giorno, volendo provare l’obbedienza e l’umiltà di un suo frate, lo chiamò a sé, piantò a terra il suo bastone e gli comandò di innaffiarlo ogni giorno. Il frate obbedì, ed il bastone crebbe e divenne albero: un albero strano, veramente; poiché era un cipresso che anziché terminare a cono, terminava in alto a forma di pino, con i rami contorti e filamentosi, a somiglianza di radici; tanto che si disse che il Santo avesse piantato il bastone al contrario della posizione normale di una pianta. Il cipresso restò verde fino al 1878; e fu soprattutto la devozione indiscreta dei pellegrini che lo fece seccare. In occasione del VII centenario della morte di San Francesco fu sistemato definitivamente in forma di monumento: quale testimonianza di umiltà e di obbedienza.
Il Wadding ed il Gonzaga riferiscono a Farneto anche una pagina de “I Fioretti” riguardante la superbia di frate Elia. Si tratta di questo: un giorno, mentre San Francesco sostava nel luogo di Farneto insieme a frate Ella vicario dell’Ordine, fu bussato insistentemente alla porta da un giovane bellissimo. Fu aperto da frate Masseo, il quale rimproverò il giovane di aver « picchiato disusatamente » e gli dettò le norme… civili del picchiare alle porte dei conventi: ” Picchia tre volte, una dopo l’altra, di rado: poi aspetta tanto che il frate abbia detto il pater nostro e venga a te; e se in questo intervallo e’ non viene a te, picchia una altra volta”.
Ma a queste norme di gentilezza da parte di frate Masseo fa contrasto fortissimo la superbia irata di frate Elia, il quale non vuole andare alla porta a rispondere ai quesiti del giovane. Si moverà solo dietro formale precetto d’obbedienza di San Francesco; ma quando l’ospite vorrà sapere se sia lecito in convento coartare le libertà evangeliche, frate Elia risponderà con disprezzo: “lo so ben questo, ma non ti voglio rispondere; và per i fatti tuoi!”. Riportate le cose a San Francesco, questi si turbò; riconobbe che il giovane era un angelo mandato da Dio a rimproverare frate Ella dei nuovi obblighi che aveva imposti ai frati, e gli disse: ” Male fate, frate Elia superbo, che cacciate. da noi gli Angeli santi, i quali ci vengono ad ammaestrare. lo ti dico che temo forte che la tua superbia non ti faccia finire fuori dell’Ordine”.
Un’altra visita angelica al Farneto è ricordata dalla tradizione e da una reliquia custodita gelosamente. Un giorno d’inverno, dopo che la neve era caduta abbondante e nessuno poteva più uscire per la questua, i frati erano restati senza cibo; San Francesco Il condusse a pregare nell’oratorio. Ed ecco, si sente bussare ripetutamente alla porta, dove un giovane consegna al portinaio un sacco di pane freschissimo. Tutta la comunità va per ringraziare il benefattore; ma questi era già scomparso, senza che si scorgessero orme sulla neve. Il sacco fu custodito, ed anche assottigliato: se ne distribuirono Infatti i frammenti, tanto che attualmente è ridotto in minuscole proporzioni. Ma non è ancora finito.
Nel bosco di farnie e di cipressi, continuano I ricordi dei soggiorno di San Francesco. Ed è indicata la cappella con lo “scoglio di San Francesco”: uno scoglio al limite dei bosco, a cui il Santo si sarebbe aggrappato durante una forte tentazione, per non essere precipitato dal demonio nel burrone.
La pietra sarebbe diventata molle, dandogli così possibilità di aggrapparsi: e sono restate impresse le
impronte delle ginocchia e delle mani del Santo. Presso la stessa cappella, si indica Il luogo dove Il primo fanciullo fraticino sorprese San Francesco nella preghiera, la notte che volle scoprire ” le vie di San Francesco “, come narra il noto episodio de I Fioretti. Farneto risulterebbe, così, il primo nido per i fanciulli desiderosi di seguire San Francesco; e fu questo uno dei motivi per cui nel 1890 vi fu costruito uno dei primi collegi serafici. Trascurando altri ricordi, datici dalla tradizione o dai documenti storici, accenniamo che Farneto fu uno dei primi romitori assegnati a fra Paoluccio Trinci per l’Osservanza. Marco da Lisbona ricorda nelle sue «Cronache » che a Farneto San Giacomo della Marca trascorse un’interna invernata, predicando a folle di pellegrini e sanando molti infermi.
Attualmente, oltre al cipresso-bastone, alla reliquia del sacco, allo scoglio nel bosco, è restato un braccio del primitivo convento, probabilmente del sec. XIII, chiamato appunto « dormitorio di San Francesco », con una cella che si dice abitata dal Santo, ed adattata ora a cappella interna.
Tratto da “Perugia e dintorni”