E’ tradizione che sia stato S. Romualdo a fondare, nel 1008-1009, non lontano dalla Fratta, il Monastero di San Salvatore di Monte Acuto, alle falde di Castiglione dell’Abate, vicino al fiume Tevere.
Si vuole anche che nel 1050 fosse retto da San Pier Damiani.
La norma benedettina, consegnata ai discepoli, fu da San Romualdo interpretata ed integrata da elementi giuridici che regolavano in maniera rigida la giornata dei camaldolesi. Sette ore al giorno erano dedicate allo studio e al lavoro, considerato quest’ultimo elemento necessario per realizzare una vita santa.
Nel Monastero di San Salvatore i camaldolesi si dedicavano al lavoro manuale, individuale e comunitario, privilegiando quello agricolo e artigianale. La nostra zona e l’intera Valle del Tevere sentirono indubbiamente l’influsso dell’attività dei monaci che, giungendo da ogni parte d’Italia e d’Europa, portarono le consuetudini e le esperienze dei paesi d’origine. L’antica cripta dell’Abbazia, seminterrata, detta oggi della Madonna delle Grazie è del tipo ad oratorium, composta di un vasto locale diviso in cinque navate, con colonne di vario stile, che sorreggono le basse volte. L’architettura di questa costruzione non è facilmente databile; certi elementi fanno pensare all’ XI secolo, la posizione della absidi della chiesa inferiore e di quella superiore richiamano al 1300, ma non è da escludere un’epoca più antica.
E’ molto probabile infatti che sul luogo stesso ove sorge la chiesa esistessero i ruderi di un tempio pagano o paleocristiano, ruderi che potrebbero essere serviti per la costruzione della cripta. All’interno di questa si trovano pilastri, colonne e capitelli di forme e grandezze diverse, ricavati su materiali vari, che inducono a pensare all’esistenza, in questo luogo, di resti utilizzati dai discepoli di San Romualdo.
All’interno della cripta, una tela del 1549, posta sopra l’altare, raffigura la Madonna e quattro religiosi. Della data di costruzione del campanile, a pianta ottagonale e circolare, non si hanno notizie; il robusto basamento rotondo e certi particolari architettonici farebbero ipotizzare l’esistenza di una primitiva torre di difesa, poi trasformata. La chiesa superiore è a tre navate, delle quali quella centrale è coperta a padiglione e con interessanti resti di affreschi. Al centro della grande navata, al momento della costruzione, fu posto un bellissimo altare, ora scomparso, dietro il quale è un coro ligneo di buona fattura. Questa chiesa fu consacrata dal vescovo di Gubbio nel 1105. Nel secolo XVI, costruito l’ Eremo di Monte Corona, questa chiesa venne ingrandita ed il prolungamento riservato ai fedeli; lo spazio sopra l’antica cripta venne occupato dalla sacrestia, da una sala per le riunioni, da un organo posto dietro
all’altare. Nel 1960 furono eseguiti lavori di trasformazione e di ripristino e al posto del grande altare fu sistemato l’antico ciborio (forse del sec. VIII) un tempo nella Chiesa di San Giuliano delle Pignatte.
Nel 1234 il pontefice Gregorio IX concesse all’ordine dei monaci cistercensi l’Abbazia di San Salvatore, mentre Perugia donava la sommità del Monte Corona.
San Salvatore, con i suoi beni, tornò ai camaldolesi nel 1434 per ordine di Eugenio IV. Nonostante la decisione papale i camaldolesi non ripresero il possesso dell’Abbazia, che per molti anni fu lasciata a Galeotto, Fabrizio, Bertoldo Degli Oddi dell’Ordine cistercense, a Troilo Baglioni arciprete e, nell’anno 1505, al cardinale Gabrielli. Dopo questo cardinale l’amministrazione dell’Abbazia passò al nipote Galeazzo Gabrielli di Fano, che lasciò l’incarico nel 1523, quando ottenne dal papa Clemente
VII di divenire eremita camaldolese con il nome di Pietro di Fano. Nello stesso anno l’Abbazia di San Salvatore fu unita ufficialmente ai beni camaldolesi. Nel 1494 la tranquillità dell’Abbazia, affidata a Bertoldo Degli Oddi, fu turbata dalla discordia che travagliava le famiglie Degli Oddi e dei Baglioni. Un giorno un folto gruppo di armati dei Baglioni si presentò minaccioso alle mura del monastero; i soldati invasero l’Abbazia, la spogliarono degli arredi più ricchi e vistosi, devastarono con fuoco i locali dei monaci. Libri e manoscritti antichi, custoditi negli archivi, furono parte trasferiti dai Degli Oddi nella Rocca di Spoleto, parte bruciati dai partigiani dei Baglioni.
Nel 1506, papa Giulio II, di transito per recarsi a recuperare Bologna, fu ospite dell’Abbazia di Monte Corona per una notte.
Nonostante i molti privilegi concessi da papi e imperatori, la vita dei camaldolesi procedeva con incertezza. Le costituzioni dell’ordine stavano invecchiando, i tempi non erano più quelli di San Romualdo e la Riforma protestante minacciava la Chiesa; uno scisma sembrava vicino e inevitabile.
Dall’Abbazia di Camaldoli partì Paolo Giustiniani con il proposito di recarsi a Roma dal Papa. Nell’anno 1520 Leone X consentì all’eremita camaldolese di fondare nuovi eremi e di riformare le regole di quelli esistenti e scarsamente funzionanti. Nel settembre dello stesso 1520 il Giustiniani fu alla Fratta di ritorno da Roma; era stanco, ma inspiegabilmente non si fermò all’Abbazia di San Salvatore, preferendo dormire all’addiaccio sotto una frondosa quercia. Dalla Fratta, ripreso il cammino, si recò nel territorio eugubino e poi in quello marchigiano, dove fondò nuovi romitori. L’ordine di Paolo Giustiniani venne riconosciuto nel 1523, e Clemente VII, il 26 novembre dello stesso anno, riconfermò la Bolla di Leone X. Alla compagnia riformata, che fu chiamata di San Romualdo, vennero concessi ampi benefici e l’Abbazia di San Salvatore di Monte Acuto fu unita ad altri beni.
Nel 1524 iniziò con fervore la vita della nuova congregazione di Paolo Giustiniani e, per stabilire i nuovi riti, le cerimonie, le regole della vita monastica e per nominare i priori, venne convocato il Capitolo ad Ancona, nell’Eremo di San Benedetto. In questa riunione, con voto unanime, Paolo Giustiniani venne eletto maggiore della Congregazione di San Romualdo.
L’Abbazia di San Salvatore di Monte Acuto cambia nome L’unione tra i camaldolesi e i religiosi della Congregazione di San Romualdo non si dimostrò duratura e si giunse alla separazione delle comunità, sancita nel Capitolo tenuto a Classe (Ravenna) nel maggio 1525.
E’ forse da quest’anno che la Compagnia di San Romualdo, per sottolineare con maggiore evidenza la diversità dai camaldolesi, assunse un nuovo stemma: una croce sopra tre monti, in mezzo all’asta inferiore della quale, più tardi, fu messa una corona per denotare il monte sul quale era stato edificato l’eremo principale della congregazione.
I discepoli di Paolo Giustiniani aumentarono e, al fine di adottare adeguati provvedimenti, venne convocato il Capitolo per il 23 aprile 1526 nella Cripta di Massaccio (Cupramontana). In questa riunione, fra l’altro, si stabili di chiamare la Compagnia di San Romualdo con il nome di Compagnia degli eremiti di Monte Corona e si giunse a questa decisione per onorare San Savino, fondatore dell’antico oratorio a metà del Monte Corona.
Dal 1526 iniziò per l’Abbazia di San Salvatore, che in questo tempo cominciò ad essere chiamata Badia di Monte Corona, un periodo di grande importanza, fino a divenire essa il centro, il punto di riferimento, per tutto l’ordine dei coronesi; nel 1527 quest’ordine comprendeva sette cenobi.
Negli anni seguenti al 1530 erano sotto la giurisdizione di San Salvatore molte parrocchie. Con Geronimo, maggiore degli eremiti coronesi e con Pietro di Fano, priore dell’Abbazia, in forza del Breve di Clemente VII del 1533 furono unite a San Salvatore in perpetuo: San Geronimo di Pascelupo, la Cripta del Massaccio, San Benedetto di Ancona, San Savino di Monte Corona, San Leonardo di Valubrio in Montefortino, Santa Maria dello Spirito Santo nella diocesi di Larino, l’Eremo di Ariccia in Puglia, San Michele di Todi, San Silvestro di Monte Soratte, Santa Maria Maddalena di Torricola, Sant’Elia di Fano, San Salvatore di Fano.
Dal 1530 l’Abbazia di San Salvatore di Monte Corona fu strettamente congiunta con l’Eremo.
Oggi, come un tempo, la Badia è il centro della grande azienda S.A.I. Agricola S.p.a. di circa 2.200 ha.. In pianura rapide sono state le trasformazioni, dopo che i mezzadri hanno lasciato i poderi.
Tutti gli alberi sono stati abbattuti per ricomporre terreni, coltivare grandi estensioni di cereali (specialmente grano e mais), facilitare la meccanizzazione. In collina i campi sono stati abbandonati, attrezzati per il pascolo, prima di bovini ed ovini, attualmente di equini e bovini. Le altre attività dell’azienda riguardano la coltura di vigneti e lo sfruttamento dei boschi per ottenere legna da ardere.