di Eugenio Costantini
13 febbraio 1278
La città di Perugia è riunita nella Piazza Grande, il fulcro attorno al quale ruota la vita del borgo umbro, dove affacciavano il duomo, il vescovado, il palazzo dei Priori, quello del Podestà e quello del Capitano del Popolo. L’occasione è da non perdere: si celebrano la conclusione dei lavori dell’acquedotto che porta l’acqua in città e della fontana, splendida, che ne mostra le acque.
Il popolo perugino, da decenni, era costretto a pagare un onere molto alto per potersi assicurare il fabbisogno di acqua. La morfologia di Perugia, città appollaiata su un doppio colle, favoriva la difesa militare ma rappresentava un ostacolo per l’approvvigionamento idrico.
Come fare arrivare nell’abitato le acque sorgive scoperte nel vicino Monte Paciano?
Fra Plenerio, Bonomo di Filippo da Orte, Fra Leonardo da Spoleto, frate Alberico francescano, maestro Guido di Città di Castello, maestro Coppo di Firenze, don Ristoro di Santa Giuliana e maestro idraulico Boninsegna veneziano si erano succeduti alla guida dell’impresa fino all’arrivo, nel 1277, di Frate Bevignate dell’ordine dei Silvestrini.
Uomo capace, energico e risoluto, che le cronache vogliono morto ultracentenario, Bevignate riuscì a portare a compimento, in pochi mesi, i lavori dell’acquedotto e della fontana. Il successo fu tale da garantire al frate silvestrino la cittadinanza di Perugia e la guida di tutte le imprese che si compiranno in città nei decenni immediatamente successivi.
Che fosse ingegnere, architetto o scultore o queste tre cose insieme non è chiaro, ne è chiaro se debba essere ricondotto a lui o ai due più famosi scultori, Nicola e Giovanni Pisano, il progetto d’insieme della fontana. Resta anche da chiarire, ma la questione probabilmente non avrà mai soluzione definitiva, a chi debbano essere ascritte le singole opere d’arte che ancora fanno mostra di sé sulle vasche della fontana: l’esecuzione dell’intera opera fu talmente rapida che dovette parteciparvi una nutrita bottega.
Eppure, nonostante i tempi ridotti, nelle due vasche poligonali di dimensioni differenti, e nella conca pensile in bronzo che sta loro al di sopra, si compie un passaggio epocale della cultura figurativa. La struttura della fontana, di cui non mancano citazioni più o meno semplificate in altre cittadine del centro Italia, gli 85 volti umani e i 61 animali su di essa scolpiti sono espressione di un vocabolario nuovo, in parte nato oltralpe e poi disceso nella penisola, in grado di tradurre la nascente sensibilità protoumanistica. Nelle formelle e nelle statuine di Perugia, ancora prima che nel pennello di Giotto, appare la terza dimensione, la conquista dello spazio. Nei bassorilievi della vasca inferiore i piani arretrano, dando corpo e solidità alle figure, mentre i santi e le figure allegoriche della vasca superiore, dietro i panneggi, sembrano spinte dal soffio della vita. È il segno evidente della presenza di Nicola Pisano e di suo figlio Giovanni, due giganti della scultura italiana duecentesca che, in proporzioni diverse, hanno legato la lezione dell’antico con i dettami dello stile gotico.
La vasca superiore.
La vasca superiore è un bacino poligonale di dodici lati.L’apparato decorativo è affidato alle 24 statuine a figura intera che si trovano agli spigoli e al centro di ogni lato, poggiate su basi sporgenti e coperte, in alto, da mensole a filo con il profilo superiore della vasca.
Nelle statuine possiamo riconoscere Profeti dell’Antico Testamento, Santi, Apostoli, Martiri della Fede, personaggi mitici o storici, nonché le città di Perugia, Chiusi e Roma. Secondo alcune interpretazioni, le 24 figure stanno a rappresentare la concezione medioevale della società, ma come nel caso della vasca inferiore, della lettura del complesso apparato simbolico si sono perse le tracce già da molto tempo. Così, quando in seguito ad un terremoto parte della vasca superiore crollò, il conseguente rimaneggiamento ne alterò la disposizione originaria che un restauro a metà del secolo scorso ha tentato di ripristinare.
Ad ogni modo, nella disposizione delle statuine emergono quattro elementi centrali – Euliste, mitico fondatore di Perugia, a nord; Augusta Perusia a sud; Salomone a est; e Roma a ovest – attorno ai quali si raccolgono i personaggi che gli stanno più vicini.
La figura femminile seduta che rappresenta Roma – quella sulla fontana è una copia dell’originale, molto rovinato, conservato nella Galleria Nazionale – la statua di Salomè con in mano il volto barbuto del Battista, sono capolavori così alti per i quali non è improprio ipotizzare la mano giovanile di Giovanni Pisano.
La vasca inferiore.
La vasca inferiore è formata da un poligono di 25 lati e su ogni lato, separati da una colonnina, sono scolpiti due bassorilievi. I cinquanta bassorilievi rappresentano episodi biblici, segni zodiacali, aneddoti di storia romana, personificazioni, scene di caccia di derivazione cortese, lavori agricoli, emblemi sociali e politici della città.
La complessa iconografia delle formelle da sempre rappresenta una difficoltà per la critica che ha tentato di avvicinarvisi. La difficoltà non sta tanto nella lettura delle singole figure, quanto piuttosto nel riuscire ad organizzarne con coerenza la successione.
In generale vi si possono distinguere tre cicli a se stanti: un primo, formato da 24 bassorilievi, dove sono rappresentati i Mesi e i segni dello Zodiaco; un secondo, dove sono raffigurate le Arti Liberali; infine un terzo, dove si succedono episodi biblici, storici e mitologici, oltre a due scene tratte dalle favole di Esopo. Ogni pannello è corredato da un’iscrizione – in una di queste è forse inciso il nome dello scultore Giovanni Pisano – e i cicli sono separati tra loro da una coppia di bassorilievi che rappresentano leoni, o grifi, oppure aquile. Osserviamo alcune gustose scenette dei Mesi.
Le due formelle di gennaio sono unite dal focolare che appare a ridosso della colonnina centrale; scaldati dalle sue fiamme un uomo e una donna si godono i frutti della terra che, ingigantiti, acquistano valore simbolico. Nella formella di sinistra del mese di febbraio è da notare l’intensa figura del pescatore. Il mese di marzo appare piuttosto rovinato, ma possiamo ancora ammirare l’uomo che si toglie una spina o un callo dal piede, scena che si riallaccia al tema ellenistico del cavaspina. Nel mese di maggio si svolge una preziosa scena cortese che descrive l’inseguimento amoroso. A giugnoritornano i lavori dei campi; a sinistra un uomo è intento nella mietitura del grano, a destra un altro falcia il fieno. Le lavorazioni del grano proseguono a luglio con la battitura e la spalatura. Settembre è il mese della vendemmia; un uomo schiaccia l’uva, mentre un altro trasporta, e ne intuiamo la fatica, un cesto carico di quei frutti. Ottobre è il mese delle lavorazioni del vino; a sinistra un uomo versa il mosto nella botte, mentre il suo socio, a destra, ne ripara un’altra. A novembre si arano e si seminano i campi mentre a dicembre, in due delle formelle più belle di questo ciclo, assistiamo alla sgozzatura del maiale e al successivo trasporto a spalla. L’uomo, concentrato nello sforzo, non si cura del cane eccitato che gli si fa incontro levandosi festoso sulle due zampe. Le Arti Liberali sono rappresentate da Grammatica, Dialettica, Retorica, Aritmetica, Geometria, Musica, Astronomia e Filosofia.
Infine, nel terzo ciclo, distinguiamo chiaramente il Peccato originale e la Cacciata dall’Eden, Sansone e il leone e Sansone e Dalida, Leone e Bastonatura del cucciolo, David e Golia, Romolo e Remo.
La vasca di bronzo.
Il terzo bacino è composto da una vasca a calice in bronzonel cui centro stanno tre figure femminili che sorreggono un vaso a tre anse. Le tre donne si danno le spalle l’una con l’altra e formano un triangolo equilatero al cui centro è iscritta la vasca. Ognuna ha il braccio destro piegato e poggiato sul fianco, e quello sinistro sollevato a sostenere l’anfora. Il braccio alzato di ciascuna figura femminile viene quasi a sovrapporsi a quello poggiato sul fianco di quella contigua, tanto che nella loro unione vi è stato ravvisato una sorta di movimento a svastica, l’antico simbolo ‘originario’ diffuso in tutto il mondo. Durante i restauri del secolo scorso è emerso che il gruppo delle fanciulle è stato fuso con il procedimento a cera perduta, simile a quello che verrà utilizzato nel Rinascimento, ma questa scoperta non ha messo in dubbio la datazione duecentesca.
Le tre fanciulle, per lungo tempo, sono state indicate come Ninfe o Naiadi. In realtà questa identificazione è il risultato dell’applicazione di un termine cinquecentesco a un gruppo bronzeo duecentesco e, quindi, deve essere rigettata. Diverse sono state le proposte alternative, dalle tre virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) al Mistero della SS. Trinità, alle tre classi sociali, oppure, più semplicemente sono state indicate come le tre portatrici d’acqua.
Come già rilevato per gli altri decori della fontana, anche in questo caso non conosciamo con certezza chi fu lo scultore delle tre fanciulle e dell’anfora che sostengono. L’opera appare forte nella concezione e nel modellato, ma troppo debole in altre parti per poter essere interamente attribuita a Giovanni Pisano. Così si è pensato a una fusione su disegno di Giovanni, oppure a un suo intervento nella realizzazione del modello in cera che poi sarebbe stato fuso da un certo Rubeus, come attesta il nome inciso nella scultura, ma l’ultima parola in merito non è stata ancora pronunciata.
Infine, dobbiamo segnalare che prima dei restauri del secolo scorso, le tre portatrici d’acqua erano sormontate, a loro volta, da un altro gruppo bronzeo raffigurante grifi e leoni giudicato di minore qualità artistica – si è ipotizzato che fosse una base di stendardo – e per questo rimosso.
Fonte: www.leonardo.it