San Giustino (Città di Castello – PG)
 
 
Ampie sale, ampie logge, ampio cortile 
e stanze ornate con gentil pitture 
trovai giugnendo, e nobili sculture 
di marmo fatte da scalpel non vile.

Nobil giardin con un perpetuo aprile
di vari fior, di frutti e di verdure,
ombre soavi, acque a temprar le arsure, 
e strade di beltà non dissimìle.

E non men forte oste], che per fortezza
ha il ponte e i fianchi, e lo circonda intorno
fosso profondo e di real larghezza.

Francesca Turino Bufalini 
 

Situato in una zona di confine e di passaggio fra l’Umbria, la Toscana, le Marche e la Romagna, il Castello Bufalini nasce come fortezza militare per difendere l’abitato di San Giustino ed il territorio circostante. La sua edificazione risale al 1480 quando Citta’ di Castello, per arginare gli attacchi dei nemici, decise di costruire un castello fortificato su progetto dell’architetto romano Mariano Savelli sul luogo di un fortilizio preesistente di proprietà della famiglia Dotti, ormai in rovina a seguito degli eventi bellici del tempo. Poichè la costruzione richiedeva un ingente capitale, nel 1487 il Castello fu donato a Niccolò di Manno Bufalini, cittadino tifernate e ricco possidente terriero in San Giustino, con l’obbligo di completare i lavori sotto la direzione di Giovanni e di Camillo Vitelli e di difendere il maniero in caso di guerre. La fortezza fu costruita a forma di quadrato irregolare con torri angolari raccordate da camminamenti merlati, su cui domina la mole della torre maestra (maschio); il tutto ulteriormente difeso da un ampio e profondo fossato a pianta stellare con ponte levatoio. Nel 1500, con il consolidarsi della potenza economica e politica della famiglia Bufalini divenuta di fatto la feudataria del luogo, il Castello fu trasformato in una villa fortificata secondo nuove esigenze sociali, artistiche e culturali. Promotori di tale iniziativa furono l’Abate Ventura Bufalini ed il fratello Giulio. L’originaria struttura chiusa in se stessa fu trasformata in una struttura aperta e protesa verso il nobile giardino ed il paesaggio circostante. I lavori più consistenti interessarono la facciata, dove la torre di sinistra fu sopraelevata, trasformata in una loggia coperta e raccordata al maschio mediante la realizzazione di un ampio loggiato con colonne e balaustra in pietra arenaria. Inoltre vennero demoliti i beccatelli e realizzato un nuovo ingresso al centro della facciata. Trasformazioni significative interessarono anche il lato sud, dove la merlatura fu trasformata in’ un camminamento loggiato. Nei prospetti furono aperte ampie finestre architravate e sul lato nord fu realizzato un ampliamento a ridosso del maschio, per contenere lo scalone monumentale. Altre modifiche più o meno importanti furono apportate nei secoli successivi. La cinta muraria si deve ad un parziale rifacimento settecentesco; più tarda è la chiusura del loggiato sul lato sinistro del cortile interno e la sopraelevazione di una torre campanaria.

 

IL GIARDINO
Tra la cinta muraria ed il fossato del Castello, entro uno spazio irregolare, si estende il giardino che attualmente ha una connotazione di gusto romantico per la presenza di cipressi, tigli e lecci tenuti alti a parco. Nel 1500 il giardino era ‘all’italiana” con piante basse, alberi da frutto nani, fiori e verdure disposti secondo un disegno ben stabilito, con aiuole, fontane percorsi obbligati, delimitati da varie essenze fra cui il bosso. Probabilmente a questo periodo risale l’impianto del labirinto. L’esistenza del giardino all’italiana è testimoniata da una lirica della poetessa Francesca Turina (1551-1641), terza moglie di Giulio Bufalini. Nel 1700 il giardino fu riprogettato come risulta da una pianta “cabreo” datata 1706 in cui sono descritti in modo dettagliato tutti i suoi spazi, le specie arboree, le coltivazioni, l’impianto idrico e perfino gli allevamenti di animali domestici e selvatici. 
Sul lato sinistro dell’ ingresso, particolarmente curato era il giardinetto dei fiori in cui erano conservate le piante di agrumi. L’impianto settecentesco è tuttora visibile nel viale sul perimetro del fossato, nella disposizione delle fontane, nelle nicchie a mosaico e nella galleria a verde detta “voltabotte” sul lato meridionale. Nell’Ottocento, quando il Castello non era più abitato regolarmente, alcune coltivazioni sono decadute. Fu realizzata allora una nuova limonaia addossata al muro d’ingresso in sostituzione di quella già esistente nel ‘700 sul lato opposto; mentre risale al ‘900 l’impianto delle magnolie. 

Sala di Apollo
La volta è spartita da una raffinata decorazione che ne sottolinea la struttura architettonica. Al centro è raffigurata la contesa fra Apollo e Marsia; sui pennacchi Apollo musagete e le figure delle Muse,sulle lunette scene mitologiche. Il classico repertorio della decorazione “a grottesca” su fondo bianco è arricchita da elementi vegetali. La datazione è da collocare in un periodo successivo alle esperienze venete avvenute tra il 1541 e il 1542 poichè forti sono le suggestioni da Salviati e quelle mantovane di Giulio Romano.
 
 
Stufetta, corridoio e camera attigua
La stufetta è costituita da due piccoli vani la cui volta è dipinta dal Gherardi con scene mitologiche relative agli amori di Giove. Un piccolo corridoio con il ratto di Ganimede conduce ad un ambiente, la cui volta è affrescata con le allegorie dei fiumi e con decorazioni “a grottesca”.

Sala delle “storie de’ fatti de’ Romani”
Sulla volta sono raffigurati cinque esempi di virtù e di gloria romana, inseriti come “quadri riportati” entro una raffinata decorazione in stucco. Riguardo a questa camera così narra il Vasari: “desiderando di fare alcuni ornamenti di stucco… gli servirono a ciò molto bene alcuni sassi di fiume venati di bianco, la polvere de’ quali fece buona e durissima presa: dentro ai quali ornamenti di stucchi fece poi Cristofano alcune storie de’ fatti de’ Romani così ben lavorate a fresco, che fu una maraviglia.” L’opera soffrì notevoli danni durante il terremoto del 1789. Attualmente sono conservate quattro scene: C. Muzio Scevola e Porsenna, Orazio Coclite sul ponte Sublicio, la fuga di Clelia, M. Furio Camillo e Brenno. La decorazione fu eseguita intorno al 1543; evidenti sono i riferimenti a fonti figurative romane (Polidoro da Caravaggio, Raffaello e Michelangelo). 
 
Sala del trono
Ad eccezione dei busti marmorei di epoca romana la decorazione dei salone risale alla fine del sec. XVII e al sec. XVIII. Essa è costituita da grandi dipinti su tela con scene del Vecchio Testamento attribuiti a Mattia Bottini (1666/1727) e da una serie di quadri raffiguranti scene mitologiche e di ispirazione letteraria (dall’Orlando Furioso di L. Ariosto). Sulla parete di fondo é dipinta la gloria della Famiglia Bufalini.  

Sala degli stucchi
All’interno di una complessa decorazione in stucco con trofei di guerra, festoni e grottesche sono inseriti dei dipinti su tela di epoca seicentesca raffiguranti personaggi femminili dell’antichità. L’arredo è di epoca settecentesca.  

Sala di Prometeo 
La struttura architettonica della volta é sottolineata da un ciclo pittorico omogeneo che narra il mito di Prometeo, il quale per aiutare il genere umano osò sfidare gli dei e per questo fu punito. Al centro della volta è raffigurato Prometeo che ruba il fuoco dal carro del sole, aiutato da Atena. Nei pennacchi Prometeo crea l’uomo e lo anima col fuoco celeste, Mercurio e Pandora, Pandora apre il vaso dei mali, il supplizio di Prometeo. Probabilmente è una delle ultime stanze dipinte dal Gherardi.

Sala del Cardinale
Singolare è l’arredo di questo ambiente, le cui pareti sono ricoperte da dipinti su tela, su tavola e su metallo raffiguranti paesaggi, scene vetero e neo testamentarie e putti databili tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII sec. la culla, collocata ai piedi del letto a baldacchino, è della seconda metà del ‘600.  

Galleria dei ritratti 
La sala, ricavata dalla chiusura di un lato del portico, ospita una serie di ritratti di famiglia settecenteschi fra cui quello del cardinale Giovanni Ottavio di Pietro Labruzzi datato 1766.  

Sala degli dei pagani
All’interno di un preciso schema architettonico, sottolineato e completato da decorazioni vegetali e a “grottesca”, sono inserite raffigurazioni di divinità pagane e dei loro miti, tratti soprattutto dalle Metamorfosi di Ovidio. Controversa è la datazione di questo ciclo pittorico che la critica ritiene eseguito dal Gherardi nel primo periodo dei suo soggiorno a San Giustino (1538/39) o dopo il viaggio a Roma del 1543.