Al Vittoriano dal 5 marzo al 29 giugno “Giotto e il Trecento“
GIOTTO “Il pittore viaggiatore che ha unito l’Italia”
di Francesca Giuliani
Intellettuale, apolide, rivoluzionario.
Come Dante, Petrarca e Boccaccio in letteratura, così Giotto in pittura percorre il suo tempo stravolgendo per sempre i codici espressivi, trasformandoli in qualcosa con cui chiunque dovrà poi misurarsi.
Mentre la triade dei sommi letterati, fonda l’unità linguistica e culturale, parallelamente si genera quella di segno e di prospettiva del “sovrano maestro in dipintura” come già i suoi contemporanei, ( Il Villani della Cronica) lo definiscono.
Perché Giotto, nato nel 1267 da una famiglia di contadini, è nella sua epoca qualcosa di simile ad una star, un divo conteso tra le corti, un esploratore della penisola, dalla Napoli dei Dangiò alla Milano viscontea fino alla committanza pontificia, come nessun altro artista riuscì a fare, poi. Né Raffaello ne Caravaggio, per dirne un paio. Ora a Giotto e al trecento, è dedicata una grande mostrache allinea centocinquanta opere di cui una ventina del maestro, a oltre 70 anni da quella allestita nella galleria degli Uffizi, in occasione del sesto centenario della morte.
Un’impresa difficile per tante ragioni, a partire da quelle pratiche, per l’ovvia anamovibilità dei cicli pittorici più famosi – dalla Basilica diAssisi, alla Cappella degli Scrovegni, e per la fragilità di tanti capolavori, a cominciare da quelli custoditi proprio agli Uffizi. Eppure, ci siamo: la cura di Alessandro Tomei con la collaborazione di Claudia Viggiani, l’organizzazione di Alessandro Nicosia di Comunicare Organizzando e un comitato scientifico di massimo rispetto presentano un risultato scandito da un percorso che invita a riflettere su un’epoca eccezionale, su una stagione di pittura – dall’ultimo quarto del XIII secolo alla prima metà del XIV– in cui Giotto << fornì temi stilistici e argomenti di riflessione sulla funzione e la natura delle arti figurative agli artisti suoi contemporanei e a quelli delle generazioni successive, dando vita – spiegano i curatori – a un “rinnovamento della pittura” i cui effetti saranno alla base delle opere dei maestri del Rinascimento>>.
L’esposizione indaga il contesto di formazione e le origini dell’artista , mette insieme le opere autografate, approfondisce i metodi della diffusione del “giottismo” in Umbria e poi nelle altre regioni, Padova e il Veneto, l’Emilia Romagna, le Marche, Napoli e la Campania, Milano e laLombardia. A Roma Giotto osservò i capolavori e lavorò molto confrontandosi con Arnolfo di Cambio, Pietro Cavallini,Jacopo Torriti, ma di tutte le sue opere qui realizzate non resta nulla. Un paio di frammenti del Mosaico della Navicella della basilica di San Pietro in Vaticano, tra cui un meraviglioso angelo, ancora bizantineggiante sono conservate in un paesino del frosinate, Boville Ernica. Il resto sono capolavori da guardare e riguardare, per scoprirne ad ogni sguardo un particolare in più, un dettaglio di quella natura, che fa innamorare i potenti che se lo contendono: la madonna col bambino da Firenze, il Santo Stefano dal Museo Home, la Madonna con bambino della National Gallery di Washington, il Polittico Stefaneschi dallafabbrica di San Puetroin Vaticano. Non mancano dipinti, manoscritti, sculture a documentare il lavoro dei più diretti collaboratori di Giotto e che portano il suo nome.
Tratto da “La Repubblica” del 12/02/09