Dolci note d’Armenia ignota
Suoni folk, sacri, medioevali, da un’area splendida e martoriata dalla storia
Anni fa, una dozzina forse, ero a Ravenna nella Basilica di San Vitale.
Già se entri lì dentro ti incanti e rischi di non uscirne più. Ma quella volta ero lì per ascoltare un concerto. Comincia la musica e a poco a poco è come se qualcosa dentro , un calore, una pressione interna, il cuore forse, crescesse e spingesse per uscire e per volare. Qualcosa infine è uscito dagli occhi, lacrime dolci, a sigillo di un momento indimenticabile.
Era musica dell’Armenia e da allora quei suoni e quell’emozione così profonda e totale restano incancellabili. A pochi metri da me, sotto le volte bizantine, c’era Gevorg Dabaghian grande solista di duduk, accompagnato da altri due duduk e da un tamburo a cornice.
Qualche tempo dopo, grazie all’ambasciata armena in Italia riuscii a procurarmi un duduk e, infine, riuscii a portarmi a casa quella serie di sei cd pubblicati da Celestial Harmenias intitolata the music for Armenia. Serie che oggi viene provvidenzialmente ristampata e allora bisogna proprio dirlo in giro.
Perché allora, di slancio, mi venne da dire che questa è la musica più bella del mondo. Musica medievale, musica sacra per coro, musica folklorica, voci scolpite nella memoria, strumenti dalle sonorità incantevoli come duduk appunto, un piccolo oboe realizzato obbligatoriamente in legno di albicocco; oppure il kanon, la cetra diffusa un po’ in tutto il bacino indoeuropeo, dalle Alpi al Gange, ma che noi, evolutissimi e raffinatissimi delibatori di musiche sanremesi, non sappiamo neppure che faccia abbia, né come suoni.
L’Arca di Noè
Se l’arca di Noè si fosse davvero incagliata sul monte Ararat (cinquemila e rotti metri) al confine tra Turchia e Armenia, significherebbe due cose. Primo che quella volta piovve veramente l’iradiddio. Soprattutto, significherebbe che tutti veniamo da quelle parti. In pochi ci credono, ma ci farebbe bene pensarlo. E forse è per questo che la musica Armena suona così tenera, ma anche così elevata e ecumenica, piena, piena di poesia e malinconia indicibili, che sfumano però nella gioia di esistere.
I sei album di cui uno doppio più un settimo antologico (gli album sono acquistabili separatamente) sono frutto delle registrazioni effettuate attorno alla metà degli anni 90 dal compositore e ricercatore neozelandese David Person. Vi si snoda una magnifica documentazione di questa cultura musicale ultramillenaria fiorita in uno dei paesi più splendidi e martoriati del pianeta, le cui tradizioni più antiche risuonano come musica del mondo che sogniamo.
Chi pensa che la bellezza come rifugio sia una cosa reazionaria meglio che cambi aria.
Da qui infatti arriva “una dolcezza al core che ‘ntender non la può chi non la prova”. Beatrice la trasmetteva per “li occhi”, questa musica la trasmette per li orecchi, ma l’effetto è il medesimo, infatti “par che de la sua labbia si muova un spirito soave pien d’amore, che va dicendo a l’anima: “Sospira!”