Grazie alla mostra “Le chiese gotiche di Gubbio”, esposta alcuni anni fa, curata dall’architetto Antonio Italiano, riguardava un suo studio di analisi tipologica e di protezione sismica degli edifici sacri eugubini del XII secolo, offrì l’occasione anche per comprendere l’evoluzione architettonica di una delle più belle città d’Italia.
In particolare lo studio si è soffermato sulle chiese realizzate con la particolare tipologia dell’arco trasversale. Una tipologia che è facilmente individuabile, caratterizzata da un’unica navata (eccetto la chiesa di San Francesco che ha tre navate) con copertura a due falde, in cui vengono utilizzati archi in pietra a sesto acuto, sormontati da un timpano in muratura, denominato anche ad arco-diaframma, dal francese arc-diaphragme.
Nuova modalità di costruzione.
Questa modalità di realizzare ampie coperture è presente a Gubbio nelle seguenti chiese di San Giovanni, nel Duomo, in Sant’Agostino e nella chiesetta di San Donato, così come è rintracciabile (nascosto però alla vista dalle volte aggiunte successivamente a seguito delle trasformazioni rinascimentali e barocche) in San Pietro, Dan Domenico (già San Martino) e Santa Maria Nuova.
Una particolarità, che può essere analizzata anche come una curiosa eccezione, è il fatto che in un intervallo temporale relativamente breve (meno di cento anni) siano sorte o siano state modificate ben sei chiese all’interno delle mura eugubine con questa particolare tipologia costruttiva.
L’arco trasversale
ebbe grande diffusione nei primi anni del Duecento in Europa e soprattutto nell’Italia centrale, tra cui moltissime realtà in Umbria.
Del resto, come ricordato dall’autore dello studio, l’utilizzo dell’arco trasversale è rintracciabile sin da tempi antichi in zone del Medio Oriente come la Turchia ionica, la Giordania e la Siria. Una tipologia costruttiva introdotta in Europa dai monaci Cistercensi in seguito all’evento delle Crociate, sulla scorta delle esperienze architettoniche medio orientali e della Spagna mussulmana. L’arco trasversale La caratteristica dell’arco trasversale si ritrova anche in molte chiese templari del nord della Spagna, in considerazione del fatto che i monaci Cistercensi erano già presenti ben prima dell’ordine religioso-cavalleresco e che ne furono anche strenui patrocinatori.
Evidente quindi fu la spinta dei Cistercensi nell’utilizzo della tipologia ad arco trasversale per realizzare i propri edifici, un modo di costruire che si sposava perfettamente con l’ideale austero ed essenziale della Regola di San Benedetto, eliminando tutto quello che era ritenuto eccessivo nella vita, nel vestire, nelle liturgie e nell’arredamento delle chiese, dei chiostri e degli edifici regolari.
La nuova metodologia costruttiva, utilizzata in sostituzione della capriata in legno, apportò notevoli vantaggi tecnici e pratici; in primo luogo una migliore solidità strutturale che consentì la copertura di luci maggiori, anche in zone povere di legname o dove risultava difficile reperire fusti di grandi dimensioni.
A Gubbio la possibilità di utilizzare l’ottima pietra calcarea delle vicine cave della Gola del Bottaccione sviluppò l’abile arte delle maestranze tra muratori, carpentieri e scalpellini, che in breve periodo si insediarono fortemente nel territorio eugubino.
Di indubbio vantaggio poi, fu la possibilità di scongiurare il problema degli incendi in biblioteche, depositi o dispense che in quel tempo erano molto diffusi e spesso causa di disastrose conseguenze.
di Alessandro Piobbico
Da “L’ingegnere Umbro” n.9, settembre 2004