di PIETRO SCARPELLINI.
(…) E qui è bene rammentare che, fino dal 1236, vi era in San Francesco d’Assisi un insigne esempio di “patiens”, la grande croce dipinta da Giunta Pisano, poi andata perduta, ma che può venir ricostruita sulla base dell’esemplare più piccolo firmato dallo stesso artista, a mio avviso quasi coevo, oggi conservato nel piccolo museo di Santa Maria degli Angeli. Comunque solo tale dato iconografico, l’inarcarsi del torso fortemente segnat
o nelle costole e nello sterno, ci parla, per quel tanto che si può vedere tutt’oggi, di una cultura figurativa neobizantina.
Tutto il resto, dalla disposizione dei piedi simmetrici e divaricati, inchiodati separatamente sul suppedaneo, fino alla tipologia della Vergine e del Battista, si inserisce nella vecchia tradizione delle crocefissioni romaniche.
Come sostanzialmente vi aderisce anche un’altra Crocefissione, esistente insieme ad una Flagellazione nella Chiesa di Pieve Pagliaccia oltre il Tevere, sulle colline che fiancheggiano la strada per il Piccione
e Gubbio, probabilmente leggermente posteriore rispetto all’affresco di San Bevignate. Malgrado vi sia una maggior presa di coscienza del nuovo modello assisiate, nella più agile cadenza ritmica del corpo, nella presentazione del piede destro visto di profilo (proprio come nel Crocefisso di Santa Maria degli Angeli), nelle tipiche forcelle alle radici dei nasi la sostanza formale rimane ancora romanica.
Vedi la scansione metrica delle figure laterali che si inseriscono negli spazi armoniosamente modulati dalle braccia del Cristo e della Croce stessa sopra il fondo filettato; vedi la costruzione frontale e ritmica, il gioco delle mani, la simmetrica conversione dei due angeli alla sommità.
Mentre inflessioni tipicamente perugine si avvertono nella soluzione grafica nel segno continuo (di cui è agevole, credo, riconoscere l’origine miniatoria), nella moderata espressività, che finisce col dare alle figure un atteggiamento distaccato, pacato, e neppure del tutto privo di accenti più o meno scopertamente ironici. Resta, ad ogni buon conto esclusa da tali rappresentazioni l’incidenza del nuovo, più arrovellato, drammatico linguaggio del cosiddetto Maestro di San Francesco, il quale evidentemente non aveva ancora fatto la sua apparizione in quest’area artistica.
Tratto da: L’ITALIA – ENCICLOPEDIA E GUIDA TURISTICA D’ITALIA – VOL. MARCHE UMBRIA
A parte altri lavori sparsi, come gli affreschi dell’abbazia dei Santi Severo e Martirio presso Orvieto, del Duomo di Narni, datato 1236, e altro col Martirio di San Lorenzo nell’abbazia di Collemancio, databile ai primi del Duecento, un gruppo relativamente omogeneo si trova nell’area perugina. Il monumento più antico e più problematico è quello datato 1225 e firmato da un Bonamicus, nella Chiesetta di San Prospero a Perugia: è opera decisamente popolaresca, romana per certi motivi iconografici, ma con forme espressionistiche che fanno anche pensare a influenze nordiche.
Della metà circa del Duecento sono anche due affreschi con La Flagellazione e La Crocefissione nella parrocchiale di Pieve Pagliaccia, di una cultura più evoluta, ma anche essa ispirata a modelli romani.
Di poco successivi sono gli importanti affreschi nella Chiesa di San Bevignate pure a Perugia, specialmente il grande Giudizio finale, che, se nell’impaginazione delle varie figure ricorda le Bibbie Atlantiche, in particolare quella di Todi, nell’iconografia, per esempio nell’immagine del Cristo con le braccia levate, riflette motivi francesi.
Tratto da: LA CHIESA DI SAN BEVIGNATE, I TEMPLARI E LA PITTURA PERUGINA DEL DUECENTO.