Alabarda: storia e descrizione

In passato, l’alabarda, è stata una famosissima ed utilissima arma data in dotazione a parte della fanteria. Il suo utilizzo fu indirizzato soprattutto in quel lasso di tempo che va dall’età medioevale fino a circa la metà del 1600, quando furono inventate le prime armi da fuoco grazie alla scoperta del buon utilizzo della polvere da sparo. L’etimologia della parola che indica questo tipo d’arma l’andiamo a ricercare nella fusione di due parole germaniche: “Halm” (che significa asta) e “Barte” (che significa ascia, scure). L’etimologia, però, non dà la perfetta descrizione dell’arma, poiché non possiamo definire un’alabarda soltanto un insieme di una ascia monopenne ed un asta allungata, dato che non sempre presentava questi caratteri ma, con l’utilizzo diffuso in varie parti del mondo e con il passare del tempo, abbiamo avuto lo sviluppo di varie tipologie di alabarde, anche molto differenti dal “progetto” iniziale. Nonostante però le numerose tipologie di questo tipo di arma, tutte conservano caratteri comuni che ci permettono di identificarle sotto lo stesso nome.
Fondamentalmente un’alabarda comune è dotata di un’asta allungata sopra la cui estremità vi è il cosiddetto ferro (ovvero la parte metallica che costituisce la lama) che, generalmente, come si può vedere nel disegno a sinistra, è costituito da tre parti:
– Ascia, sul lato destro dell’arma, per menare fendenti contro l’avversario come una normale scure monopenne;
– Picca, nella parte superiore dell’arma, molto simile ad una piccola lama di spada, per effettuare affondi. Questa parte è fondamentalmente utilizzata per evitare che la cavalleria sfondi le linee del proprio esercito. La fanteria con le alabarde, infatti, vengono schierate in prima linea: ponendo l’alabarda obliquamente al terreno, la cavalleria è come se andasse a cozzare contro una palizzata essendo, cavalieri e cavalli, feriti (quasi sempre mortalmente) dalla fila di picche;
– Becco di ferro, sul lato sinistro dell’arma, che viene utilizzato come uncino e per sfondare, efficacemente, elmi e armature avversarie;
Come possiamo vedere sempre dalla stessa immagine, il ferro è unito all’asta grazie a delle bandelle laterali (le placche metalliche lunghe e chiodate), ma inizialmente questo era unito grazie ad alcuni anelli posti sul dorso e non c’era una sostanziale divisione (l’ascia fungeva sia da picca che da becco in un unico pezzo sagomato). Questo tipo di alabarda “primitiva” assumeva il nome di Vogue Svizzera.

Come abbiamo già accennato prima, quest’arma ha rivestito un ruolo di primaria importanza per i membri della fanteria perché gli ha consentito di poter fronteggiare con vantaggio la cavalleria, rispetto alla quale si sono sempre trovati in una situazione di nettissimo svantaggio. Nella maggior parte dei casi, le armi solite dei fanti durante l’antichità e, specialmente, nell’età medioevale erano la spada, la picca e infine, abbinata all’uso della prima, lo scudo. Potenzialmente, un reparto di fanteria armato di picche ben disciplinato è invulnerabile ad una carica da parte della cavalleria, ma lo resta solo fino a quando riesce a mantenere la propria formazione. Quando però questa viene rotta, la picca diventa un’arma inopportuna al combattimento corpo a corpo poiché è molto lunga, quindi un fante deve sguainare la propria spada e mettere mano allo scudo, ma facendo così non dispone più dell’allungo sufficiente per attaccare il cavaliere nemico, a meno che non riesca in qualche modo a disarcionarlo, cosa non molto semplice. La comparsa dell’alabarda, quindi, fornisce al fante un utile strumento per compensare la sua inferiorità nei confronti del cavaliere perché più lunga della spada e più maneggevole della picca, ed oltre al potere perforante della cuspide, dispone di quello tagliente della lama d’ascia e fratturante del becco.

Legenda immagine
1-cuspide,
2-scure,
3-bandella,
4-becco di falco,
5-gorbia,
6-asta

L’alabarda, in quanto arma di gruppo, poteva opporsi alla cavalleria: i cavalli infatti, che possono sopportare colpi e ferite, s’impennano e s’infuriano quando sono colpiti con la picca. Per questo una truppa armata di picche è invulnerabile nella misura in cui la sua coesione non permette l’aprirsi di alcuna breccia. Viceversa, nel caso di combattimento individuale di un fante contro un cavaliere, è senza dubbio il primo a soccombere essendo la spada troppo corta per abbattere l’avversario. I popoli del nord, nel periodo che va dal VI al IX secolo, utilizzavano una sciabola corta (di circa 45-70 centimetri) con la lama larga che terminava appuntita, chiamata “scaramax” da Gregorio di Tours (538-594) che ne fa menzione nella sua “Historia Francorum”. I Franchi per primi fissarono la scaramax all’estremità di un’asta, così come si può vedere negli affreschi del chiostro di San Giovanni Battista a Munster, nel Cantone dei Grigioni (Svizzera), e che sono tuttora conservati nel Museo Nazionale Svizzero di Zurigo. Da questo momento il combattente appiedato dispone di un’arma con la quale può ferire di punta e di taglio, efficace contro il cavaliere poiché unisce i vantaggi di una scure a largo tagliente a quelli della picca. Il profilo dei ferri, a partire dallo scaramax immanicato fino a giungere all’alabarda, mostra chiaramente la derivazione di questa da quello, specialmente se si esaminano gli esemplari più antichi conservati a Zurigo. La più vecchia citazione di quest’arma è contenuta nell’opera di un poeta di Basilea, la “Storia della guerra di Troia”, scritta da Konrad Von Wurzburg (1287).

Ecco il testo nella parte che c’interessa: “Sechs tusend man ze fouz bereit / Die truogen hallebarten / Ser unde wol gesliffen / Swarz si damite ergriffen / daz was ze tôde verloren” (Seimila uomini furono uccisi, portavano molte alabarde talmente appuntite che coloro che ne erano colpiti erano morti perduti). Il poeta visse e scrisse a Basilea, città di transito, nella quale i soldati, che vi giungevano da ogni parte, avevano occasione di far mostra delle novità nel campo delle armi.

Non si può comunque affermare categoricamente che l’alabarda sia nata nella Regione di Basilea solo perché la troviamo citata per la prima volta da un abitante di questa città, tuttavia la notizia è degna di essere sottolineata. Il nome di alabarda deriva dal tedesco “Halm” = asta e “Barte” = ascia. Naturalmente si tratta di un’ascia a forma molto particolare, forgiata per la guerra e non per lavorare il legno. Gli uomini dell’antica Helvetia, educati alla guerra fin dalla più tenera età, hanno ricercato – più degli altri popoli e con maggiore impegno – il tipo di armamento ad essi più consono. Questa ricerca fu senza dubbio maggiormente potenziata durante il secolo XIII, nel corso del quale essi indirizzarono tutte le loro energie per ottenere l’indipendenza lottando contro la cavalleria feudale. E’ dunque abbastanza ragionevole attribuire ai soldati dell’antica Svizzera la costruzione delle prime alabarde. Esistono alabarde che si possono classificare di “tipo arcaico” e di cui diamo le caratteristiche peculiari: la lama è larga con un tagliente dritto, obliquo o convesso che s’incurva al dorso per formare lo stocco.
 
L’asta di circa due metri s’innesta su due anelli saldati al dorso. Il raccordo della lama allo stocco è costituito da un sostegno arrotondato e la punta si presenta fuori asse rispetto all’asta. Verso la fine del XV Secolo si modifica la forma del ferro per accrescerne l’offensibilità. E’ dunque un’arma nuova quella che ora forgiano gli armaioli; con una cuspide robusta nell’asse dell’asta, con un becco utilizzato per sfondare caschi ed armature ed il raccordo del tagliente alla cuspide è costituito da un dente più o meno accentuato. Questa nuova arma è denominata “alabarda” quando il vecchio tipo diventa, per essi, la “vogue svizzera” o la “vogue tedesca”. Ora la parola “vogue” non compare mai in scritti contemporanei all’alabarda arcaica. Questo termine di “vogue” è invece adoperato per tutt’altra arma, cioè per quella impiegata in Francia, in Germania ed in Spagna, che viene ora chiamata “vogue francese”, poiché è proprio in Francia, nel secolo XV, che la troviamo più sovente citata e rappresentata. Il primo ad introdurre il termine di “vogue” riferito ad un’arma che i contemporanei hanno chiamato alabarda è stato Violet Le Duc (1814-1879) nel VI volume del suo Dictionaire Raisonnè du Mobilier Francais, pubblicato nel 1875. A questo punto abbiamo chiaramente collocato nel tempo e nelle forme l’arma denominata “alabarda”.

Riferimenti storici

L’alabarda trovò un nuovo impiego contro le masse armate di picca. Se l’avanzata del fronte d’attacco si arrestava, gli alabardieri uscivano dai ranghi e andavano ad assalire il fianco delle formazioni nemiche. I picchieri, con le loro armi eccessivamente lunghe, erano pressoché indifesi in questo tipo di combattimento ravvicinato.
I fanti armati di alabarda (oppure di falcione, o spada) cercavano di aprirsi un varco nello schieramento nemico che avevano di fronte.
In uno scontro campale i contendenti si fermavano ad una distanza pari alla lunghezza delle lance.
Il primo ad avanzare era comunque l‘uomo di spicco e di grande coraggio, il quale
riusciva a saltare in uno spazio libero da frecce e da pallottole.
Disponendo dello spazio necessario, l‘alabarda poteva essere fatta roteare per tutta la sua
lunghezza come una potente scure e adoperata sia come stocco (perforante) sia come botta (tagliante e fratturante) o strappante, era usata sia per il combattimento tra fanti che tra fanti e cavalieri.
In particolar modo famose furono le alabarde svizzere che, dopo la Battaglia di Sempach del 9 Luglio 1386, a causa della sua efficacia, furono scelte come arma nazionale della Svizzera.

Esse presentavano, alcune una semplice lama che terminava con una punta acuminata ed erano munite di alette per impedire che la lancia sprofondasse nel corpo dell’avversario rendendosi inutilizzabile, altre avevano nella parte posteriore della lama, un uncino che si dice venisse usato per disarcionare gli uomini a cavallo.

Tecniche di combattimento

Le alabarde erano armi che venivano usate per lo più portando colpi che dall’alto piovevano verso il basso per sfruttare al massimo il loro enorme peso,o sui lati in modo che anche se si trovava uno scudo si sarebbe potuto colpire l’avversario ad un braccio o sbilanciarlo.
La guardia stretta di alabarda risultava molto efficace nei movimenti in lochi
stretti e angusti poiché l‘asta era in grado di difendere l‘intera lunghezza del corpo.
La guardia larga che allontanava l‘arma dal corpo era sconsigliabile in quando garantiva ampie capacità di manovra e di contrattacco ma scarsa copertura data la difficoltà di rivolgere l’arma nello spazio d‘azione dell‘assalto dell‘avversario.
L‘alabarda era un’arma che sfruttava la lunghezza della sua asta per portar assalti all‘avversario rimanendo ad una distanza di sicurezza.
L‘impugnatura era salda con le mani ben distanti sull‘asta a ricoprire un ampiezza di poco
maggiore a quella delle spalle con la mano dritta arretrata sull‘asta rispetto alla sinistra.
La posizione delle gambe era invece invertita con la dritta avanzata e fortezza rispetto alla manca. Posizione ben diversa dalle armi con impugnatura dissimile all‘asta dell‘alabarda.
Lo stile di fender con l‘alabarda era piuttosto macchinoso poiché era  necessario disegnar cerchi di maggior ampiezza rispetto ad un arma priva d‘asta, era inoltre di rigore tenere, una volta lanciato, l‘assalto la posizione dei piedi posta a terra bel salda ed immobile.
Era più semplice il ferir di punta se l’alabarda lo consentiva ma era altrettanto rischioso poiché era necessario ondeggiarla più volte prima di colpire l‘avversario. Era necessario, perciò, nascondere il colpo dietro un buon numero di finte poiché un avversario ben preparato poteva evitare il limitato spazio d‘azione di un affondo e sfilare lungo l‘asta cogliendo l‘alabardiere
completamente impossibilitato alla guardia stretta e, tanto meno, a movimenti liberi
dall‘ingombro dell’arma stessa.

 

ALABARDA SVIZZERA (XII SEC)      ALABARDA TEDESCA (XV SEC)        ALABARDA SPAGNOLA (XVI SEC)